Si è aperta tra mille tensioni – e probabilmente proseguirà anche oggi con lo stesso copione – l’80ª Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in cui si discute del riconoscimento dello Stato di Palestina. Una partita, quella per dare una patria ai palestinesi, che vede fronteggiarsi due distinti schieramenti: il primo composto da almeno 145 Paesi su 193, favorevoli al riconoscimento; il secondo formato da almeno 45 Stati, divisi tra chi è del tutto contrario – come Israele – e chi, come Italia, Germania e soprattutto Stati Uniti, ritiene che i tempi non siano ancora maturi.
C’è chi dice sì
Il summit di New York – in cui, almeno per il momento, non sono state adottate né misure né risoluzioni – segue la conferenza internazionale organizzata da Parigi e Riad a fine luglio, quando il presidente francese Emmanuel Macron, con la sua ennesima scommessa politica, aveva annunciato l’intenzione di riconoscere lo Stato di Palestina e aveva chiesto al resto della comunità internazionale di fare altrettanto. Una mossa che molti politici e analisti avevano definito “azzardata”, perché sembravano prevalere le resistenze di diversi leader, soprattutto europei, scettici sulla tempistica al punto da temere che il riconoscimento potesse addirittura irrigidire il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.
Tuttavia, due mesi dopo, davanti allo stallo nelle trattative di pace per la Striscia di Gaza e all’offensiva israeliana che è andata avanti come nulla fosse, lo scenario per i civili palestinesi è talmente peggiorato da convincere molti a cambiare posizione. I primi a farlo sono stati Spagna, Norvegia, Irlanda e Slovenia, che hanno unilateralmente riconosciuto lo Stato di Palestina. Dopo di loro, altri dieci Stati hanno annunciato di voler procedere con il riconoscimento ufficiale già durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite tuttora in corso. Si tratta di Andorra, Australia, Belgio, Canada, Lussemburgo, Portogallo, Malta, Regno Unito e San Marino.
Tutti loro si uniranno, probabilmente al termine della riunione di oggi, a Russia, Cina, India, ai Paesi arabi e alla maggior parte dei Paesi asiatici.
C’è chi dice no
Malgrado la stragrande maggioranza dei Paesi si appresti a riconoscere lo Stato di Palestina, esiste anche una minoranza che ancora non lo fa. Tra questi spiccano Israele, con Netanyahu che anche ieri ha ribadito che “non esisterà mai uno Stato palestinese”, e gli Stati Uniti.
Il fronte del No si compone anche di Giappone e Corea del Sud – entrambi hanno comunque dichiarato che lo faranno in futuro – oltre a Singapore, Camerun, Panama e alla maggior parte dei Paesi dell’Oceania. Spaccata in due, invece, l’Unione europea: tra i contrari spiccano Italia e Germania.
La posizione italiana, espressa più volte nelle scorse settimane e ribadita all’Onu dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, è che c’è pieno sostegno alla soluzione “due popoli, due Stati”, ma non è questo il momento per riconoscere la Palestina. Non molto diversa la posizione di Berlino, con il ministro degli Esteri tedesco Johann Wadephul che ha posto come precondizione al riconoscimento della Palestina “un cessate il fuoco a Gaza e l’avvio di un processo per la creazione di due Stati”, al termine del quale avverrà il riconoscimento da parte della Germania.
Usa e Israele minimizzano
Si tratta di posizioni che difficilmente potranno tradursi in fatti, perché Netanyahu non vuole affatto prendere in considerazione l’ipotesi di negoziare la creazione di uno Stato palestinese.
“Israele respinge categoricamente la dichiarazione unilaterale di riconoscimento di uno Stato palestinese fatta dal Regno Unito e da alcuni altri Paesi. Questa dichiarazione non promuove la pace, ma al contrario destabilizza ulteriormente la regione e compromette le possibilità di raggiungere una soluzione pacifica in futuro”, ha scritto su X Oren Marmorstein, portavoce del ministero degli Esteri israeliano.
A suo dire “il riconoscimento non solo premia il più grande massacro di ebrei dall’Olocausto da parte di un’organizzazione terroristica che invoca e agisce per l’annientamento di Israele, ma consolida anche il sostegno di cui gode Hamas. È distruttivo separare la statualità – una delle questioni relative allo status finale – dalla pace. Questa decisione va contro ogni logica di negoziazione e di compromesso tra le due parti e allontanerà ulteriormente la pace desiderata”.
Gli Stati Uniti di Donald Trump, invece, si sono limitati a definire la decisione di riconoscere lo Stato di Palestina come una mossa “puramente simbolica”. A differenza della Casa Bianca – come riferito da una fonte statunitense all’Afp – che non sembra volerne sapere. Anzi, l’amministrazione Trump si dice convinta che “l’obiettivo rimane quello di avviare una diplomazia seria, non gesti scenografici”, arrivando “al rilascio degli ostaggi, alla garanzia di sicurezza di Israele e alla pace e prosperità per l’intera regione, che saranno possibili solo senza Hamas”.