‘Ndrangheta regina dello spaccio nel Comasco

Il Comasco terra di 'Ndrangheta: blitz dello Sco tra Come e Varese. In manette 30 affiliati alle due locali.

‘Ndrangheta regina dello spaccio nel Comasco

La ‘Ndrangheta regina incontrastata della droga e delle estorsioni nel Comasco. O meglio, le regine erano due, ovvero le due locali che si spartivano il territorio e il mercato. A colpirle entrambe, ieri il blitz dello Sco della Polizia, coordinato dalla Procura della Repubblica di Milano – Direzione Distrettuale Antimafia – che ha eseguito 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 5 arresti domiciliari, nei confronti di persone dimoranti in Lombardia, Piemonte e in Calabria.

I reati contestati ai due gruppi di ‘Ndrangheta

Quasi infinita la lista dei reati contestati ai due gruppi: traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante dell’associazione armata, usura ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso, autoriciclaggio per aver riutilizzato i proventi dell’attività di spaccio per acquistare locali pubblici e finanziare società intestate fittiziamente a prestanome, finanziamenti con garanzia pubblica ottenuti attraverso presentazione di falsa documentazione contabile. Sequestrati anche 690mila euro in contanti, nascosti nel doppiofondo creato su un veicolo usato dal gruppo.

L’indagine era nata con l’arresto per detenzione ai fini di spaccio di una donna comasca nel dicembre 2019. Gli investigatori sono riusciti, negli anni, a risalire ad almeno due gruppi dediti all’acquisto, alla detenzione e alla cessione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente (soprattutto cocaina, marijuana e hashish): il primo attivo in particolare nella zona dell’Erbese, il secondo a cavallo tra le province di Como e di Varese, nell’area della cosiddetta “Bassa Comasca”, questi ultimi strettamente legati ad ambienti criminali contigui alla ‘ndrangheta di Rosarno.

Nel corso dell’indagine sono stati accertati anche svariati reati di tipo economico-finanziario. Società di comodo, fittiziamente intestate a prestanome e prive di operatività, emettevano fatture fittizie. Una delle società in questione è stata utilizzata per ottenere un mutuo da circa 700mila euro garantito dal fondo di garanzia per le PMI istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

Il capo del clan era ai domiciliari

A capo di uno dei due gruppi di trafficanti, una vecchia conoscenza della Dda, il 71enne Luigi Vona, già condannato nel 2013 per associazione di stampo mafioso per essere il capo della locale di Canzo-Asso, insieme al 38enne Vincenzo Milazzo. “Nonostante fosse sottoposto alla misura della libertà vigilata”, durante le indagini della pm della Dda Sara Ombra, coordinata dall’aggiunta Alessandra Dolci, Vona “ricopriva – si legge nell’ordinanza emessa dalla gip Lorenza Pasquinelli – all’interno dell’associazione un ruolo decisamente apicale, mantenendo rapporti diretti con Milazzo e presiedendo alle riunioni con le altre locali”. In particolare con quella di Erba del clan Oppedisano. “Risulta, infatti, come Vona abbia più volte incontrato” Michele e Pasquale Oppedisano, padre e figlio, “per conferire in merito alla spartizione territoriale delle piazze di spaccio”.

L’altro gruppo invece, che sarebbe capeggiato da Marco Bono, 49 anni, oltre al narcotraffico avrebbe commesso una serie di estorsioni utilizzando minacce violenza nei confronti degli imprenditori che non restituivano i prestiti ricevuti con tassi d’interesse da usura.

Le locali del nord collegate con i clan di ‘Ndrangheta della Calabria

“L’indagine, svolta soprattutto grazie alle intercettazioni, ha evidenziato ancora una volta che il traffico degli stupefacenti costituisce non solo uno dei modi principali con cui le organizzazioni criminali accumulano enormi ricchezze ma anche un consolidato strumento per imporsi nei territori di riferimento”, ha spiegato il Direttore del Servizio Centrale Operativo di Como Vincenzo Nicolì, “Dall’inchiesta emerge che l’egemonia nel traffico di stupefacenti e una diffusa attività di usura sono state agevolate non solo dalla disponibilità di armi da parte dei vertici, ma anche da sistematiche minacce che facevano riferimento alla contiguità di alcuni degli indagati a pericolose cosche della ‘ndrangheta, da tempo radicate nel comasco”, ha aggiunto.