Negazionisti del clima, tanto pochi quanto rumorosi. Lo scrittore Deotto: “Ci si ferma al 5-8%, quasi quanto i terrapiattisti”

Negazionisti del clima, tanto pochi quanto rumorosi. Lo scrittore Deotto: "Ci si ferma al 5-8%, quasi quanto i terrapiattisti"

Negazionisti del clima, tanto pochi quanto rumorosi. Lo scrittore Deotto: “Ci si ferma al 5-8%, quasi quanto i terrapiattisti”

Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Il suo ultimo libro L’altro mondo è edito da Bompiani.

Nonostante gli effetti evidenti in tutto il mondo e il parere quasi unanime della comunità scientifica anche in questi giorni, di fronte alla tragedia, fioccano i negazionisti del cambiamento climatico nella politica e sui media. Perché?
“Innanzitutto esistono due tipi di negazionisti climatici: quelli che conoscono il problema e i rischi che comporta, e per interesse lo negano e distorcono; e quelli che davvero sono scettici sulla responsabilità antropica del riscaldamento globale e sui rishi che comporta. Spesso sono i primi a falsare consapevolmente il piano di discussione. Ricordiamoci che nel 2022 le grandi compagnie del fossile hanno registrato profitti per centinaia di miliardi di dollari. È almeno dagli anni ’80 che questo settore investe milioni per diffondere falsità sull’impatto dei loro prodotti, e a maggior ragione continua a farlo oggi che si parla sempre più spesso di transizione”.

Quanto è diffusa l’idea che il cambiamento climatico non esista o non sia causato dall’uomo?
“Poco, in realtà, le statistiche parlano di una quota compresa tra il 5% e l’8%, non così lontana dalla percentuale di quanti pensano che la Terra sia piatta. Il problema è che si tratta di una minoranza molto rumorosa. Inoltre, spesso i media danno ai negazionisti uno spazio pari a quello di persone che hanno dedicato una vita a studiare il problema, con il risultato di far passare l’idea che la comunità scientifica sia divisa, quando il livello di consenso è paragonabile a quello sull’evoluzione o la tettonica delle placche”.

Secondo lei perché il negazionismo climatico prende così piede al di fuori della comunità scientifica? È solo una questione di interessi?
“Ha anche a che fare con il modo in cui sono fatti i nostri cervelli. Non siamo cognitivamente equipaggiati per inquadrare con un solo sguardo un fenomeno complesso, stratificato e interconnesso come la crisi climatica. Il nostro sistema di allarme non si attiva in automatico come per altre minacce, non proviamo quella paura viscerale che ci indurrebbe a trattare fin da subito questo problema con urgenza. A fronte di ciò, per molti il negazionismo climatico è prima di tutto una risposta confortante.

Come arginare l’onda negazionista?
“Con grande pazienza, prima di tutto: liquidare chi non crede al cambiamento climatico come sciocco o ignorante significa dimenticare che in molti casi i negazionisti siano più vittime che colpevoli. Spesso sono persone disorientate, in cerca di una forma falsata di speranza che consente di non accettare un’evidenza scomoda, di non sentirsi disarmati e impotenti. C’è un preoccupante deficit di informazione sulla questione, ed è fondamentale replicare alle semplificazioni con argomentazioni circostanziate che sappiano restituire complessità alla questione, possibilmente senza spingere il nostro interlocutore nell’angolo con un cappello d’asino in testa”.

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