Nel Cpr di Ponte Galeria migranti in condizioni disumane

Migranti come animali. Ispezione dei consiglieri regionali nel Cpr di Ponte Galeria: "I profughi privati di ogni diritto".

Nel Cpr di Ponte Galeria migranti in condizioni disumane

Privati di ogni diritto, in condizioni disumane e indegne di un Paese civile. Questo è il contesto in cui vivono gli ospiti del Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria, all’interno del quale domenica si è suicidato il 22enne Ousmane Sylla. Il giovane è stato trovato impiccato e sul caso è stata aperta un’indagine per istigazione al suicidio. Dopo il dramma all’interno del centro è scoppiata una rivolta, terminata con l’arresto di 14 ospiti e il ferimento di tre tra carabinieri e soldati. Un luogo come il Cpr di Ponte Galeria è ritenuto “totalmente disumano” dalla garante per i detenuti di Roma, Valentina Calderone.

Migranti come animali. Ispezione dei consiglieri regionali nel Cpr di Ponte Galeria: “I profughi privati di ogni diritto”

Ieri i capogruppo d’opposizione in Regione Lazio (Claudio Marotta per Avs, Mario Ciarla per il Pd, Marietta Tidei per Iv e Adriano Zuccalà con Valerio Novelli del M5S) hanno visitato il centro e ribadito lo stesso concetto. Quello che hanno visto lo racconta Zuccalà parlandone con La Notizia e descrivendo una struttura “fatiscente in ogni sua parte”, in cui “gli ospiti vengono privati di ogni loro diritto” e vivono in “spazi inagibili e inumani”.

Già dall’esterno, racconta il capogruppo pentastellato in Regione, è evidente il contesto di “degrado” a cui ci si trova di fronte. All’interno si trovano persone – ricorda Zuccalà – che nel 99% dei casi “non sono colpevoli di reati, non sono detenuti in carcere ma o finiscono la loro pena e vengono spostati in questi centri prima del rimpatrio o della richiesta d’asilo o sono persone identificate come colpevoli di immigrazione clandestina”. Entrano in una “struttura fatiscente” in cui “non viene garantita la minima dignità di permanenza sia degli ospiti che dei lavoratori”.

I migranti vengono “privati di ogni diritto che avrebbero in libertà: non hanno telefoni, non possono uscire, non possono svolgere attività durante la giornata”. Passano “tutto il giorno reclusi in delle gabbie” che danno l’idea, come spiega Zuccalà sottolineando che è un “paragone molto forte”, di un “canile gigante”. Gli ospiti vivono in piccole aree coperte per dormire, “in condizioni disumane”: possono uscire da queste gabbie in cemento con le sbarre ed entrare in un grande corridoio di cemento che ha l’aspetto “di uno dei peggiori carceri che possiamo immaginare”. Anche perché, rispetto a una prigione, un Cpr non è pensato per “una lunga degenza” dal punto di vista del personale, della sicurezza e delle attività che si possono svolgere. Non ci sono le condizioni per una “vita dignitosa”. Chi viene portato qui dopo un periodo di reclusione entra in una struttura in cui le condizioni, “in termini di vivibilità”, sono persino peggiori e con l’ottica di una “totale incertezza”.

Non sanno nulla del loro destino, tanto che durante la visita i consiglieri hanno assistito al crollo psicologico di uno degli ospiti perché ha avuto la notizia di dover rimanere lì ancora per diverse settimane. Di fronte a una situazione di questo genere è inevitabile un crollo psicologico, a cui si fa poco per porre rimedio: “Il supporto psicologico prevede che ogni ospite abbia circa 3 minuti a testa a disposizione”, spiega il capogruppo M5S. Non può bastare, ovviamente, di fronte a una situazione in cui è impossibile vivere: “Sfido qualsiasi persona sana di mente o, ancora peggio fragile, a vivere serenamente anche solo una settimana all’interno di quella struttura, chiunque di noi lì dentro impazzirebbe”.

E non è un caso che in un contesto del genere sia avvenuto il suicidio di Ousmane. Arrivato sei anni fa in Italia, ancora minorenne, ha girato tra diversi centri e il 27 gennaio è stato spostato da Trapani a Ponte Galeria. Voleva tornare in Guinea, il suo Paese d’origine. Con il quale, però, non esistono accordi che permettono il rimpatrio. E così il 22enne non ha più retto, ha lasciato un messaggio-testamento e si è tolto la vita.

Nella struttura in cui si è suicidato il 22enne della Guinea gli ospiti vivono dentro vere gabbie

Questa storia e quanto emerso durante la visita, secondo Zuccalà, mostrano un “evidente fallimento strutturale del pensiero che c’è dietro questi centri di rimpatrio”. Gli ospiti non sanno mai, durante la loro precedente reclusione, che fine faranno e se entreranno in altre strutture. Non vengono preparati al loro destino. E poi vengono ammassati, in 100-130 persone, in questi centri. Che ledono “la dignità e la libertà delle persone”, erodendo anche “finanziamenti pubblici” per la cattiva gestione di tutto il processo. Queste persone si trovano, dopo una reclusione ordinaria, di fronte a un’altra, forse persino peggiore per le condizioni, “senza aver commesso un reato, ma con meno diritti e tutele rispetto a chi ha commesso un reato”.

I consiglieri di opposizione chiedono di istituire lo sportello regionale per il garante dei detenuti all’interno dei Cpr e chiedono anche un incontro con il prefetto per provare a migliorare questa situazione. Deve nascere, conclude Zuccalà, un “percorso di superamento di questi centri nel più breve tempo possibile: non possiamo permettere la cancellazione della dignità umana” nel nostro Paese.