Nel Pd cade il veto su Renzi. Ed è rissa per i seggi blindati

Polemiche per le deroghe ai big con oltre tre mandati. Italia viva verso il ripescaggio rilancia su Draghi premier.

In casa Pd ora il primo pensiero sono le liste. Il segretario Enrico Letta ha dato mandato ai segretari regionali di preparare le liste che verrano votate il 9 o l’11 agosto. Però c’è un problema non da poco: tra i rivoli delle correnti all’interno del Partito democratico Base riformista ha una prevalenza che a molti – anche tra i parlamentari – sembra non rispecchiare i reali valori di forza all’interno del partito.

In casa Pd ora il primo pensiero sono le liste. Letta ha posto come regola che nessuno può fare più di 3 mandati di fila

Appartengono a Base riformista la maggioranza dei segretari regionali e in molti chiedono a Letta di “svolgere le funzioni da segretario, sta lì per quello”. È il solito bilico difficile tra federalismo e centralismo democratico dell’organizzazione interna. Ma l’appartenenza di corrente dei candidati non è l’unico problema: nella prima bozza delle candidature la presenza femminile si aggirerebbe intorno al 30% e in molti hanno fatto notare che così non va.

La riduzione dei parlamentari però pesa eccome sul nervosismo con sui si preparano le liste e l’equilibrio di genere è un ulteriore ostacolo che Letta dovrà riuscire a superare per tenere compatto il partito che si prepara alla campagna elettorale.

Qualcuno contesta anche le deroghe per le candidature. Nel suo discorso in direzione nazionale il segretario Letta ha posto come regola che nessuno può fare più di 3 mandati di fila (15 anni) in Parlamento. Da regolamento però vengono derogati “coloro i quali ricoprono o abbiano ricoperto la carica di Segretario nazionale, di presidente del Consiglio dei ministri e di ministro della Repubblica” e in un partito che da anni si ritrova al governo inevitabilmente gli ex ministri fioccano: spazio aperto quindi a Franceschini ma anche a Fassino e altri che in Parlamento ci stanno da una vita.

Letta ha promesso però che gli ex ministri con più di tre legislature dovranno farsi eleggere trovando i voti, nei collegi uninominali. E dentro il Pd sono in pochi a crederci. Sul fronte esterno invece la notizia è l’apertura di Letta a Renzi, che fino a ieri sembrava fuori dall’alleanza. Letta lo ha detto chiaramente a margine della festa dell’Unità a San Miniato (Pisa), rispondendo a chi chiedeva se ci siano veti nei confronti di Matteo Renzi.

“L’ho già detto, noi non mettiamo veti nei confronti di nessuno”, ha risposto il segretario dem. La discussione sulle alleanze è basata su “tre criteri fondamentali – ha aggiunto – costruiremo alleanze con chi porta valore aggiunto, chi arriva con spirito costruttivo e chi si approccia senza porre veti”.

A Renzi non sembra vero e ospite ad Agorà si lancia: “Vorrei fare un appello – dice – a tutti i partiti: qui c’è una situazione serissima, sono molto preoccupato. C’è un problema d’inflazione, il costo della bolletta è sempre più alto, la campagna elettorale deve continuare sui battibecchi, le discussioni, o su quello da fare? Prima si deve decidere cosa fare”.

Si finge di parlare di contenuti ma ora ciò che interessa al leader di Italia Viva è trovare un approdo sicuro per non rischiare di rimanere fuori dal Parlamento. Poi ritira fuori l’agenda Draghi. «La politica oggi sembra impazzita, forse è il caldo – ha aggiunto l’ex premier -. Io partirei prima dai contenuti per fare la coalizione, però se mi chiedono un nome dico che ripartirei da Draghi. Se ci sarà una situazione di pareggio, è chiaro che se la destra stravince vorrà decidere lei”.

Insomma, non è ancora entrato ma già compie azione di disturbo. E così mentre anche Beppe Sala da Milano chiede che “l’alleanza sia la più larga possibile, senza veti di nessun tipo” il deputato renziano Gabriele Toccafondi non riesce a trattenersi e attacca Nicola Fratoianni e Sinistra Italiana (che nell’alleanza con il Pd ci sono da tempo): “Il Pd apre le porte all’alleanza con Sinistra Italiana, quel partito che ha definito il governo Draghi ‘delle banche e dei poteri forti’, il partito che ha votato 55 volte contro la fiducia al governo di unità nazionale. Questo Pd è lo stesso che si dice ‘riformista’ e che vuole seguire l’agenda Draghi?”, scrive sul suo profilo Facebook il deputato Iv.

Non male come spirito costruttivo per convincere Letta a farsi imbarcare sull’ultima scialuppa di salvataggio disponibile. Il coordinatore toscano di Italia Viva Nicola Danti rincara la dose e in un’intervista al Corriere fiorentino spiega: “Noi vorremmo portare avanti l’agenda Draghi nel futuro parlamento, la cosa importante in politica è aver un programma condiviso: il Pd sta facendo un’accozzaglia di sigle.

Vedo che Fratoianni (Sinistra Italiana, ndr) dice già no al rigassificatore di Piombino. Come si fa?”. Già, come si fa? Se lo chiedono in molti dentro (e fuori dal Pd). Vale davvero la pena imbarcare Renzi e i suoi spiccioli di voti per turbare un’alleanza che già non si prospetta tranquilla? Una cosa è certa: gli stessi che ieri assicuravano che fosse impossibile l’ingresso di Renzi in coalizione oggi rispondono con laconici “non so”. Qualcuno a Letta dovrà spiegare la favole della rana che muore annegata dallo scorpione che sta trasportando: lei gli chiede “ma perché mi uccidi sapendo di morire anche tu?w, e lui sornione risponde “perché è la mia natura”.

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