Neomelodici, parla il sociologo della musica Savonardo: “Cantare il malaffare non significa certo appoggiarlo”

Parla il sociologo della musica, Lello Savonardo: "Cantare il malaffare non significa certo appoggiarlo".

Neomelodici, parla il sociologo della musica Savonardo: “Cantare il malaffare non significa certo appoggiarlo”

Neomelodici e camorra, uno storico binomio? Dopo l’arresto di Tony Colombo esplode il dibattito a Napoli. C’è chi vede troppo spazio da parte dei media per personaggi come il cantante siciliano trapiantato in città dopo il matrimonio con Tina Rispoli (arrestata anche lei), la vedova del boss Gaetano Marino. Ma secondo il sociologo della musica Lello Savonardo, coordinatore dell’Osservatorio giovanile e del Corso magistrale in Comunicazione dell’Università Federico II, alcuni aspetti vanno chiariti.

Professore, neomelodici & camorra sono uniti da un antico legame, se pensiamo alla sceneggiata e a Mario Merola. Perché?
“Senza dubbio c’è un legame tra musica neomelodica e scena criminale, ma facciamo attenzione a non mischiaree le cose. Dal punto di vista dei contenuti in passato posso ricordare ‘O capoclan che diceva “se non ci pensa Dio ci penso io” oppure “il Latitante”, canzoni che hanno fatto la storia neomelodica richiamando il contesto criminale. È una devianza che si esprime anche attraverso queste canzoni, ma non significa che ci sia una stretta connessione tra chi racconta la delinquenza e i clan”.

Si può paragonare la musica neomelodica ai gangsta rap americani nel rapporto con il crimine?
“Indubbiamente. Il rap parte dalla Giamaica e arriva al Bronx fino alle nostre periferie negli anni Novanta. I rapper che appartengono a bande criminali negli Stati Uniti possono richiamare da un lato alcune narrazioni del rap nostrano, capace di esprimersi pure contro il malaffare, ma dall’altro può sembrare connivente o mostrare un sostegno alla criminalità. Voglio ricordare gli Almamegretta con ‘O buono e ‘o malamente: il buono può non essere tale e così anche ‘o malamente. Quello di fissare delle etichette è un problema serio anche nelle canzoni rap. Non sempre chi fa il neomelodico che canta fatti criminali è un criminale, come non lo è un attore di Gomorra che racconta i clan”.

Secondo lei è la suggestione “mitologica” del crimine a coinvolgere neomelodici, giovani e la scena musicale emergente della trap?
“C’è sempre stata questa fascinazione. Da giovane guardavo “Scarface” e “il Padrino” e avevo come riferimento l’eroe negativo. La narrazione, dal cinema alla musica, può esprimere il racconto di una realtà che non è condivisa ma questo non vuol dire che i giovani emulino eroi negativi. Bisogna educare i ragazzi trasferendo modelli valoriali capaci di filtrare ciò che è effettivamente anti-Stato e ciò che invece è una semplice narrazione. Se avessimo la capacità di dare strumenti critici ai giovani sarebbe un’ottima occasione per valorizzare la nostra cultura”.

Nino D’Angelo e altri dimostrano che i neomelodici cantano anche le emozioni e i sentimenti: non è che questo genere musicale è stato troppo isolato in una concezione “borghese” e “chic” rispetto alla realtà popolare della nostra città?
“Questa domanda è molto pertinente. La canzone neomelodica nasce dai sentimenti quotidiani ed è maggioritaria, l’amore è il tema principale. Poi c’è una fetta importante di chi racconta il vissuto e la marginalità anche attraverso a comportamenti deviati. Sono i media che accendono l’attenzione unicamente su questo aspetto, dimenticando invece che Gigi D’Alessio oggi è mainstream, Nino D’Angelo scrive in versi e Franco Ricciardi è ormai una rockstar. Sono autori che cantano emozioni di una Napoli che vive quotidianamente questi sentimenti. Ritengo che la maggioranza degli artisti parli di amore e di sociale. Alcuni parlano di criminalità e i media si soffermano solo su di loro”.