Le Lettere

No ai sistemi autoritari

La Meloni è partita in tromba col progetto di presidenzialismo. Ma cosa vuole davvero? E perché si parla di riforme proprio adesso?
Luigi Benelli
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Gentile lettore, si parla di riforme proprio adesso perché la premier vuole distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti: le difficoltà che incontra in Europa, dove la pacchia è finita (per lei); l’incapacità di mettere a terra il Pnrr, che ci priverà di grandi risorse; i rapporti ormai avvelenati con la Francia; le promesse elettorali che si è rimangiata una ad una; e via dicendo. Ma questo è solo il lato tattico. Poi c’è il lato strategico, ben più importante. Per dirla in breve: è il sogno di sovvertire la Costituzione antifascista e l’ordinamento nato dalla caduta del fascismo storico, e di tornare all’humus dell’uomo forte al comando. In altre parole, è il substrato neofascista, conscio o inconscio, che spunta dalle scelte di questi sciagurati Fratelli d’Italia e dei loro alleati, più intenti ad occupare poltrone che a far politica. Oggi la Costituzione prevede un vitale sistema di pesi e contrappesi (check and balance) tra organi istituzionali, concepito per evitare derive autoritarie. Con il presidenzialismo o la sua variante, il premierato, tutto questo sarebbe scardinato. E poi si cita sempre il presidenzialismo di Francia e Stati Uniti, senza dire che in quei due Paesi tale forma di governo si è spesso dimostrata disfunzionale e comunque è nata da condizioni storiche lontane e irripetibili. Era un premierato il Portogallo di Salazar e presidenzialisti erano il Cile di Pinochet e la Spagna di Franco durante la sospensione della monarchia, e lo sono quasi tutte le dittature.

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