No al taglio dei parlamentari. La casta all’ultima trincea. Forza Italia si spacca sul referendum di settembre. E pure le Sardine si schierano contro la riforma

A unirsi al coro nelle ultime ore sono state anche le Sardine. Tutti le ricordiamo: nuove, innovative, giovani. E dunque cosa hanno deciso di fare in merito al referendum del 20 e 21 settembre sul taglio dei parlamentari? Semplice: voteranno no. Le ragioni le hanno spiegate in un lungo post su Facebook: “Parlare del referendum fa paura, ma non possiamo tacere“, è stato l’esordio. E questo perché, secondo loro, si tratta di una riforma “demagogica e dannosa”.

E questo perché “tagliando il numero dei parlamentari si mettono in discussione le fondamenta della democrazia parlamentare, con la sua capacità di esprimere il pluralismo e la complessità della società”. Secondo le Sardine, di conseguenza, “in un modello maggiormente orientato alla decisione che alla discussione (come quello cui stiamo andando incontro negli ultimi anni) verrà sminuito uno degli elementi imprescindibili della cosa pubblica”. E ancora: “Il problema attuale dei nostri rappresentanti non è il sovrannumero, come i populisti vogliono farci pensare, ma la qualità del dibattito e della classe dirigente”. Insomma, tutti populisti. Fa niente per il risparmio di mezzo milione di euro in un periodo, peraltro, non certo d’oro dal punto di vista economico.

LA STRANA COALIZIONE. Come detto, però, le Sardine si aggiungono a una schiera assolutamente trasversale e che ha ottimi referenti anche in Parlamento. Se in Emilia Romagna Matteo Santori e compagni spalleggiavano per il centrosinistra, questa volta si troveranno al fianco di buona parte del centrodestra. Ad aver annunciato di votare contro la riforma, infatti, troviamo Simone Baldelli (nella foto), storico deputato di Forza Italia che per l’occasione ha pensato anche di scrivere un libro sul tema. Ma Baldelli si è spinto anche oltre, organizzando un vero e proprio comitato che conta all’interno parlamentari di varia estrazione.

Da Rossella Muroni di Leu (“Il Parlamento non può essere considerato un costo, non può essere svilita la sua funzione”) a Riccardo Magi di +Europa (“Tra molti anni con la distanza della storia chi penserà al 2020 lo ricorderà per il Covid e per il taglio parlamentari e magari si penserà che si è proceduto al taglio per il distanziamento sociale. Io non trovo e non è possibile trovare altre motivazioni fondate e difendibili per questa amputazione del Parlamento”) fino a Roberto Giachetti (“Mi auguro che la Consulta si ponga il problema degli italiani all’estero dove, in paesi come Usa e Brasile, non possono votare milioni di persone. Si tratta di un corpo elettorale che potrebbe essere molto motivato a votare no”).

L’EFFETTO SUL GOVERNO. Il tema resta aperto. Anche perché se il Pd ha annunciato voto favorevole a patto che si discuta di riforma elettorale immediatamente, a non pronunciarsi in maniera chiara per ora è Italia Viva. Matteo Renzi al momento tace. Ma sono tante le voci secondo cui l’intero partito sarebbe intenzionato a fare campagna elettorale contro il quesito referendario. In tempi passati, d’altronde, Renzi ha aspramente criticato il taglio dei parlamentari. Poi, come si sa, le maggioranze sono cambiate e, dunque, anche le opinioni sulle riforme. Certo è che il voto potrebbe avere effetti dirompenti sulla stabilità di governo.

È inutile dire che se alla fine dovesse vincere il no, magari per una spaccatura (possibile) all’interno del Pd o una (più che probabile) all’interno di Italia Viva, a rimetterci potrebbe essere non solo il peso specifico del Movimento cinque stelle all’interno della maggioranza, ma anche la stessa stabilità di Giuseppe Conte. Senza contare che a quel punto l’idea di un’alleanza stabile tra i dem e pentastellati vacillerebbe ancor prima del tempo.