No profit, quante ombre sulle gestioni

di Alessandro Righi

Per fortuna sono solo una stretta minoranza. Ma anche nel mondo del volontariato e del non profit occorre prestare molta attenzione a operazioni spericolate o a qualcuno che invece di mirare al raggiungimento della mission della propria associazione, punta esclusivamente ai propri interessi. Magari traendone vantaggi personali. Anche per questo occorrerebbe maggiore trasparenza. Quello delle onlus è un mare magnum, anche dal fatturato molto importante. E allora prima di effettuare una donazione in denaro spesso ci si chiede come poter controllare e sapere dove, poi, finiscono effettivamente i nostri soldi. Intervistato dal quotidiano La Repubblica, qualche tempo fa, il presidente del centro nazionale per il volontariato Edoardo Patriarca disse senza alcun ombra di dubbio: “Il vero problema è che in questo campo non ci sono i controlli. Chi verifica che una raccolta fondi sia davvero destinata all’uso che si reclamizza?”. Patriarca da tempo chiede controlli più stringenti anche sul terzo settore perché l’esplosione di scandali può danneggiare l’intero volontariato. E con tante di quelle onlus in giro per l’Italia riuscire a individuare quella affidabile da quella da cui stare alla larga (una strettissima minoranza) appare quasi impossibile.

I milioni di Greenpeace
L’ultimo scandalo in ordine di tempo e dalle proporzioni mastodontiche ha riguardato l’associazione Greenpeace, da sempre attiva nella difesa dell’ambiente. Solo che nell’ultimo caso l’associazione non è salita agli onori della cronaca per operazioni spericolate a difesa dell’ambiente, bensì per un’operazione speicolata in Borsa. Tanto disastrosa che ha portato a bruciare ben quattro milioni di euro del patrimonio dell’associazione. E quindi anche i soldi dei donatori e degli attivisti. L’episodio è stato confermato dalla stessa associazione ambientalista che da par suo ha provato a limitare i danni, con una difesa apparsa tutt’altro che convincente. Quella finita nel mirino è una scommessa contro l’euro: un dipendente della più grande organizzazione attiva nella salvaguardia ambientale del pianeta ha sottoscritto un contratto di swap sui cambi (appartiene agli strumenti derivati, uno di quei contratti che servono a proteggere dall’oscillazione). L’operazione sarebbe stata condotta dall’uomo senza che ne avesse avuto alcun mandato e, proprio per questa ragione, Greenpeace lo ha già licenziato. Questa la spiegazione dell’associazione, anche se più di qualcuno si chiede se sia possibile speculare tanti soldi così facilmente e senza alcuna autorizzazione. Greenpeace ha chiesto scusa a tutti i suoi donatori, almeno 3 milioni di persone in tutto il mondo. Un danno non irrilevante che comporterà “la riduzione delle spese sulle infrastrutture, ma non sulle campagne”, spiegano dall’associazione. Una scommessa in Borsa che ha fatto tornare alla mente il documentario realizzato, vent’anni fa, dal regista islandese Magnus Gudmundsson che presentò così l’organizzazione ecologista: “Greenpeace si presenta come un’associazione per la difesa dell’ambiente, in verità è una multinazionale che cerca potere politico e denaro”. Il documentario portò alla luce l’esistenza di alcuni conti bancari su cui sarebbero transitati milioni di dollari: conti accessibili soltanto ai leader dell’associazione e con soldi provenienti da campagne e donazioni. A mettere in imbarazzo l’associazione, all’epoca, era il 1993, l’ex responsabile contabile in Olanda, Frans Kotte, che aveva lavorato per Greenpeace International. Ci sarebbe stato un uso tutt’altro che chiaro di denaro impiegato in operazioni finanziarie quantomeno discutibili. Oltre al documentario c’è sempre il settimanale tedesco Der Spiegel, che da sempre segue con estrema attenzione ogni operazione condotta da Greenpeace. Era il 1991 quando Der Spiegel rivelò una serie di intrecci svelò che in Germania operava una rete di società controllate interamente da Greenpeace nel silenzio generale e fuori dal bilancio. Anche perché la società non dovrebbe avere alcun fine di lucro. Un sospetto che era venuto ancora prima, nel 1986, a Patrick Moore, uno dei fondatori dell’associazione (1971), che però ne prese le distanze convinto che l’associazione stesse prendendo una strada differente da quella per cui era venuta alla luce.

Non sono tutti uguali I volontari non hanno dubbi di Antonello Di Lella

Ci sono sì gestioni molto dubbie, ma c’è pure un mondo del volontariato in Italia che va forte. Dai dati diffusi dal centro nazionale per il volontariato e dalla fondazione volontariato e partecipazione emerge un Paese ricco di organizzazioni senza fini di lucro che portano avanti le loro attività senza sosta. Si tratta di una ricerca svolta nei primi mesi del 2014 su un campione di 1900 presidenti di organizzazioni di volontariato. Un settore che non risente in alcun modo della crisi e che anzi riesce anche a crescere. Le situazioni più critiche sono rappresentate, come anche per le aziende “normali”, dai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e dalle difficoltà nel collaborare con gli altri soggetti del terzo settore. Anche per tali ragioni il settore si sta discostando sempre più dalla pubblica amministrazione puntando a camminare autonomamente sulle proprie gambe. Le associazioni non risentono della crisi perché sono riuscite a fare affidamento su risorse proprie. Incoraggiante la situazione economico-patrimoniale nel biennio 2011-2013 secondo quanto rivelato dai presidenti intervistati. Nel 2011 il 68,8% delle organizzazioni mostravano variazioni nulle o positive rispetto all’anno precedente. Stessa situazione registrata nel 2013. Soltanto il 2,1% delle organizzazioni mostra problemi di sostenibilità. Stati di sofferenza sarebbero emersi per quanto riguarda la Protezione civile e nei settori dei beni culturali e del volontariato internazionale. Consolidata, se non in espansione, la base di soci e di volontari nell’anno 2013: 85 organizzazioni su 100 hanno confermato o allargato la propria base associativa. Buono anche l’impegno dei giovani nel campo del volontariato. Con una media del 25,3% dei volontari che hanno un’età media inferiore ai 35 anni. Dalla ricerca emerge che risulta confermata la propensione delle organizzazioni ad operare su scala locale. Per questo risulta fondamentale la collaborazione con gli enti locali nella realizzazione di progetti di volontariato. Ci si aiuta e si collabora però ancora troppo poco. Solo il 23,3% delle organizzazione di volontariato ha collaborato con altre associazioni o con quelle di mutuo soccorso nell’anno 2013, il 14,4% con associazioni di promozione sociale, centri sociali e centro socio-ricreativi e il 9,4% con altri strutture ecclesiali. Quasi nulle le collaborazioni significative con altri soggetti non-profit.