Non è vero

di Gaetano Pedullà

No, care lavoratrici, il lavoro non si onora non lavorando. Chiedere una migliore turnazione, recuperi delle giornate di riposo, più salario a fronte di più lavoro è sacrosanto. Ma guardare al lavoro di oggi, e soprattutto di domani, con gli occhiali del passato è follia. Come sembreranno folli quei giovani che a migliaia festeggeranno il primo maggio ubbriacandosi di musica e birra ai concerti dei sindacati, a Roma quanto a Taranto. Che c’è da festeggiare in un Paese dove il 40% dei ragazzi non ha un’occupazione, e chi ce l’ha deve accontentarsi quasi sempre di un impiego precario? I confederali, così come una parte della nostra politica, continuano però a riproporre le stesse ricette, incuranti del fallimento a cui ci hanno portato. E c’è chi ci crede, convincendosi che il lavoro è dovuto e i diritti acquisiti negli anni siano garantite per sempre. Le cose invece non stanno così. Il lavoro è cambiato di pari passo con un mondo che non è più quello di venti o anche solo dieci anni fa. Essere flessibili non è più un valore aggiunto, ma la base di partenza per chi ha chiaro che il lavoro vale se porta remunerazione per se stessi, per le aziende e per la collettività.

Diversamente anche chi parla di lavoro in realtà sta pensando a una forma più o meno velata di assistenzialismo. Portare il lavoro nelle piazze del nuovo millennio (i centri commerciali che hanno reso un concetto archeologico il senso stesso dell’agorà), nei luoghi e nello spazio temporale in cui sono le persone, i consumatori, significa pensare al lavoro in modo moderno, adeguato a questi tempi 3.0. Chi sente per questo calpestata la propria dignità si trasferisca pure nel secolo scorso, se può. I nostri tempi sono un’altra cosa. E siccome un po’ tutti siamo tanto lavoratori (o aspiranti tali) quanto consumatori, accettiamo le regole che cambiamo oppure non lamentiamoci se andando un fine settimana in vacanza in una qualunque città turistica in Italia o all’estero troviamo negozi, centri commerciali, bar e ristoranti tutti chiusi. Un bel weekend d’inferno, no?

Lavorare l’1 maggio è da schiavi di Donne in Catene

Sono passate tante domeniche e festivi dal decreto salva-Italia di Monti. Noi le abbiamo trascorse tutte al lavoro, chi in un supermercato, chi in un centro commerciale. Ma la situazione non solo è peggiorata, ma sta degenerando. La grande distribuzione che sta fagocitando tutto, le attività commerciali che le gravitano intorno non riescono a sopperire a questi nuovi ritmi. Incassi che crollano, dipendenti che diminuiscono, nessuna nuova assunzione e per i lavoratori rimasti vengono imposti ritmi e turni che niente hanno a che fare con i contratti originari. Ma di questi tempi sembra che non ci si possa appellare ai propri diritti di lavoratori, che si debba accettare tutto pur di tenersi stretto il lavoro. Ed ecco che alla minima opposizione del lavoratore, che fa valere i propri diritti, l’azienda permette – sì – di scioperare, ma ricorda che tale atteggiamento farà cambiare l’opinione maturata sul lavoratore nel corso di tanti anni. Imprese in difficoltà che anziché rendere partecipi i dipendenti della situazione e prendere decisioni urgenti mirate a salvare posti di lavoro, subaffittano rami d’azienda ad altrettante aziende fantasma.

O ancora: abbandonano le varie realtà locali (in difficoltà causate dagli elevati costi dei centri commerciali), facendole giungere allo sfratto dai locali commerciali. Se liberalizzare significa imporre, questi sono i risultati. E non ci dite che molte categorie lavorano già 365 giorni all’anno… da sempre. E se lo stesso trattamento che abbiamo ricevuto noi lavoratori nel commercio, fosse esteso a moltre altre categorie (dipendenti pubblici…) chissà se a loro verrebbe concesso far valere i propri diritti: diritti ad onorare le feste nazionali, come il 25 Aprile e il 1 Maggio!