Non si sa chi stiamo armando. Ora lo dice pure l’Europol

Europol ha deciso di istituire una commissione per monitorare le attività terroristiche intorno al giro di armamenti inviati in Ucraina.

Non si sa chi stiamo armando. Ora lo dice pure l’Europol

Sul conflitto in Ucraina “non ci illudiamo che esistano soluzioni pronte per l’uso”. Così il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ha aggiunto: “Siamo consapevoli che la diplomazia procede con pazienza, per passi successivi. Lavoriamo per delineare un percorso che porti alla pace, senza pretendere di entrare già da ora nel merito delle questioni da risolvere, ma identificando gli ambiti che andrebbero affrontati in sede negoziale per favorire una soluzione sostenibile”.

Certo è che “la pace è l’obiettivo comune del Governo e di tutte le forze politiche in quest’Aula e sono sicuro che ciò rispecchi il sentimento diffuso e radicato del popolo italiano”, ha aggiunto. Il ministro ha poi ribadito che l’Italia sta effettuando pressioni per creare “corridoi marittimi per il trasporto delle materie prime alimentari, anzitutto il grano, dai porti ucraini”.

Perché “l’aggressione russa sta provocando una grave crisi alimentare, i cui effetti potenzialmente devastanti colpiscono soprattutto l’Africa”. Certo è che nel conflitto che oramai si avvicina al giorno 100 si registra – e preoccupa – l’importante flusso di armi provenienti da tutti i Paesi e rivolto all’Ucraina.

Europol monitorerà le attività terroristiche intorno al giro di armamenti inviati in Ucraina

L’agenzia dell’Unione europea per la cooperazione tra le forze dell’ordine (Europol), con la sua direttrice esecutiva, Catherine De Bolle, ha deciso di istituire una vera e propria commissione internazionale per monitorare le attività terroristiche intorno al giro di armamenti inviati in Ucraina. Ad annunciarlo in un’intervista al giornale tedesco Die Welt è statala stessa De Bolle che ha spiegato come le attuali “spedizioni di armi in Ucraina potrebbero creare un problema che sopravvivrà anche una volta finita la guerra”, aggiungendo che “c’è il rischio che queste cadano nelle mani sbagliate, “come è già successo dopo la guerra nei Balcani. Un esempio agghiacciante”, ha chiosato la direttrice da poche settimane riconfermata a capo dell’Agenzia.

Il luogo stesso in cui si trovano in questo momento le armi mandate all’esercito di Zelensky dagli Stati Uniti dalla Nato è fonte a di grossa preoccupazione. De Bolle ha spiegato che ciò che si intende evitare è che riaccada quanto già successo “30 anni fa, in cui le armi del conflitto svoltosi tra il 1991 e il 2001 vengono tuttora utilizzate da gruppi criminali”, ha spiegato. Si tratta soprattutto di armi leggere, mentre i mezzi più pesanti sono stati gradualmente eliminati.

Ma si parla tuttavia di milioni di mezzi leggeri ancora in circolazione oggi nei Balcani. Ma l’Ucraina già prima del conflitto del 2014 risultava essere un hub di traffico d’armi. “I funzionari hanno stimato che almeno 300 mila armi leggere e di piccolo calibro sono state saccheggiate o perse tra il 2013 e il 2015. Una manna per il mercato nero gestito da gruppi di stampo mafioso nel Donbass e altre reti criminali”.

Sul tema anche il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri ha detto che “alla fine di questa guerra nel mercato nero ci saranno tante armi e sicuramente ci sarà un problema per la sicurezza in Europa. Le armi che circoleranno sono molto più pericolose e fino a 10 volte più potenti di quelle del periodo post-guerra in Jugoslavia, quando la ‘ndrangheta andava in quei territori e comprava bazooka e kalashnikov a 750 euro”.

Il problema secondo il magistrato è che “non c’è tracciabilità di queste armi che vengono consegnate agli ucraini e questo è un problema che il mondo occidentale si deve porre non dopo la guerra, ma adesso. E forse è già tardi”.