Non si va nei Comuni vicini. Il punto critico del Dpcm. Impedire di andare in centri limitrofi o poco distanti tra loro penalizza moltissimi nuclei familiari

Il premier Giuseppe Conte, nel tanto atteso Dpcm Natale, che andrà a regolamentare come saranno le festività degli italiani in tempo di pandemia, alla fine non ha inserito divieti in merito al numero dei partecipanti a pranzi e cene di Natale e Capodanno nelle abitazioni private, limitandosi a delle “forti raccomandazioni”, sottolineando come “In un sistema liberal democratico non possiamo entrare in casa delle persone”. Ma per assicurare il rispetto delle norme anti Covid il Viminale ha messo a punto un piano che prevede una vigilanza serrata: il sistema sarà quello già sperimentato a Pasqua e nei ponti festivi vari che quest’anno sono stati all’insegna del lockdown.

Task force congiunta di tutte le forze dell’ordine compreso l’esercito, droni per individuare eventuali assembramenti, posti di blocco in autostrade e ai varchi aeroportuali e ferroviari con regole ferree per quanto riguarda gli spostamenti: dal 20 dicembre fino al 6 gennaio non sarà possibile mettersi in viaggio per spostarsi da una regione all’altra, mentre nei giorni del 25 e 26 dicembre e del 1 gennaio non ci si potrà muovere neanche dal proprio comune. Ed è proprio questa la parte più controversa del Dpcm, alzare “un muro”, anche psicologico, fra comuni limitrofi, tra genitori e figli, tra coppie che aspettavano di rivedersi, è apparsa a molti una forzatura senza nessuna valenza scientifica a supporto.

In prima linea contro queste misure i governatori, che con accenti diversi hanno posto il problema chiedendo a Roma una modifica parlamentare del decreto, soprattutto nelle misure con le quali si limitano gli spostamenti anche tra piccoli comuni. La critica è ragionata e costruttiva da parte del presidente del Veneto Luca Zaia: “Il provvedimento non è tutto da buttare, ma resta il problema sociale non irrilevante, legato ai ricongiungimenti e agli anziani. Se da un lato è indispensabile pensare alle restrizioni, è altrettanto vero che da un punto di vista epidemiologico sanitario, la chiusura dei confini comunali nelle tre date non ha una ratio sostenibile. Dire che, dal punto di vista sanitario, il rischio di contagio della chiusura di un comune di poche migliaia di abitanti in quei tre giorni sia uguale a quello della chiusura dei confini di un comune di tre milioni di abitanti – argomenta – vuol scientificamente dire una bestialità”.

Da parte del governatore la linea è in ogni caso quella della collaborazione: “Il Veneto è a fianco del governo, non vogliamo essere dall’altra parte della barricata ma dobbiamo trovare una soluzione, è un Dpcm scritto in un momento non facile: nessun governo avrebbe avuto vita facile nel scrivere un provvedimento in questo momento storico. Certo è che se si fosse approfittato di fare un percorso assieme, giorno dopo giorno con governatori, penso che – conclude – qualcosa di utile avrebbero potuto portare in dote anche alle regioni”.

Toni decisamente diversi quelli del presidente facente funzioni della Calabria, il leghista Nino Spirlì, che definisce quello del governo “Un atto quasi criminale”: “Una decisione impopolare, cinica e che non poggia su nessuna base scientifica. Sta ormai diventando offensivo, perché una cosa è arrivare a proporre ma un’altra cosa è arrivare a imporre. è l’ennesimo dpcm che scende all’alto – prosegue Spirlì – sordo a qualsiasi nostra richiesta e in questa fase anche dannoso per gli italiani. Chiudere tre giorni specifici – 25, 26 dicembre e 1 gennaio – e chiuderli anche alla possibilità della piccola condivisione familiare e impedendo la riunione dei genitori con i figli, significa volere il male delle famiglie e questo non lo possiamo consentire”.