Non solo star viziate, pure il calcio ha i suoi eroi

E’ uno strano mondo il football. Sport tanto amato e popolare quanto avulso e diffidente alla politica. E’ difficile, se non di rado, trovare calciatori con degli ideali, la militanza in un partito, una propria coscienza politica o un punto di vista sul mondo.
Tra le eccezioni c’è sicuramente il nome di Carlos Humberto Caszely, attaccante della nazionale cilena degli anni settanta che, durante i terribili anni della dittatura del generale Pinochet, non nascose mai la sua fede socialista e le simpatie per il compianto presidente Salvador Allende.

Senza paura.
Fervido oppositore al governo dei militari, ancora oggi si vanta di non aver stretto mai la mano a Pinochet durante le cerimonie ufficiali in cui giocatori e dirigenti de “la roja” venivano chiamati a prendere parte. Anzi, delle volte accadeva che voltava pure le spalle al caudillo e a tutto il suo codazzo di militari e burocrati. Nel 1988, a carriera calcistica già chiusa e in occasione del referendum per votare su uno nuovo mandato elettorale di otto anni di Pinochet , Caszely volle manifestare la sua opposizione al regime ancora più apertamente, raccontando, tra l’altro, delle torture subite dalla madre durante le fasi calde del golpe.

La svolta politica. In quella tornata elettorale il fronte oppositore all’allungamento del mandato di Pinochet vinse permettendo libere elezioni le quali portarono alla presidenza Patricio Aylwin, mentre Pinochet divenne (scandalosamente) capo delle forza armate. Nella vita di Caszely è rimasto un neo di quando giocava a calcio, lo porta dentro come un rimorso, una ferita mai cicatrizzatasi.
E riguarda la farsa dello spareggio (non giocato) per la qualificazione ai mondiali di Germania del 1974 tra Cile e Urss. Il 23 novembre del 1973 i russi non vollero scendere sul terreno dell’Estadio Nacional della capitale Santiago esprimendo dissapore verso il regime che aveva trasformato quello stadio in prigione e luogo di tortura per gli oppositori del governo.
Nonostante il rifiuto dei russi, venne dato in pasto all’opinione pubblico del mondo una sceneggiata con “la roja” sola in campo che doveva segnare un gol simbolico per assicurarsi la qualificazione (il match d’andata in Russia era finito 0-0). Al fischio di inizio del direttore di gara seguì un breve fraseggio di passaggi e quando la palla arrivò a Caszely, il centravanti fu tentato di gettarla in fallo laterale in segno di rigetto e schifo verso quella sporca operazione della federazione calcio cilena, ma gli mancò il coraggio. Toccò con leggerezza la sfera passandola al capitano Valdes che l’accompagnò in rete. Una vergogna per Caszely quel gol truffa che ancora oggi, a sessantatre anni, gli brucia il cuore e rosica la mente. Ma a parte la sua opposizione al regime, come fu il calciatore Carlos Humberto Caszely Garrido?

Il mito cileno. In Cile non si trova un solo cronista sportivo che non dica che sia stato uno dei migliori “futbolista chilenos de la istoria”, uno dei massimi idoli dei tifosi del club del Colo- Colo (la squadra più amata nel Paese sudamericano), dove militò dal 1967 al 1973 segnando 62 gol e dal 1978 al 1985 realizzando altre 89 marcature. Nella storia della nazionale “ roja” è il terzo miglior cannoniere di sempre con 26 reti (su 49 presenze), dietro all’ex-laziale Salas e all’ex-interista Zamorano.
Al mondiale che si disputò in Germania nel 1974, dove la nostra nazionale guidata dal vecchio Ferruccio Valcareggi venne eliminata al primo turno da Argentina e Polonia, vi fu un episodio riportato dagli annali del calcio e di cui Caszely è il protagonista. Partita inaugurale Germania Cile (finita poi 1-0 per i tedeschi), in seguito ad un fallo sul biondo ed arcigno terzino Vogts, il centravanti sudamericano venne espulso divenendo così il primo giocatore nella storia dei mondiali a finire anzitempo negli spogliatoi in quanto l’uso del cartellino rosso era stato introdotto solo nel mondiale precedente del Messico.

La ritorsione. In Germania il Cile fu eliminato al primo turno e per “el rey del metro cuadrado” scattò una incomprensibile interdizione: la federazione cilena gli impedì di indossare la maglia della nazionale fino al 1979. La ritorsione-vendetta del regime sul socialista Caszely doveva compiersi. E così fu.