Nunzia De Girolamo, dai pizzini del Cavaliere alle larghe intese

di Monica Setta

Oggi è il ministro dell’Agricoltura che ha chiamato la figlia Gea (nomen, omen), ha un compagno Francesco Boccia ( Pd ) amico personale del premier Enrico Letta e un brillante futuro davanti a sé sotto l’egida del “politically correct”. Sì, Nunzia De Girolamo, classe 1975, segno zodiacale Bilancia, ė una donna arrivata e compiuta, apprezzata, omaggiata, addirittura adorata nel suo partito. Che non è lo stesso del marito, come si potrebbe desumere, ma il Pdl. Dicono di lei che rappresenta addirittura, nel rating del centro destra, la classificazione più elevata: curriculum impeccabile, capacità di lavoro praticamente infinita, tendenza “tripla” A per le public relations, quei rapporti trasversali con l’esterno che, a seconda di chi li pratica, possono essere nobile networking oppure banalissimo “inciucio”.
Nunzia, malgrado non abbia perso nulla dell’originario accento campano, sta dalla parte di chi “fa Rete”, non “ ammuina”, ca va sans dire.
Ma non è stato sempre così. C’è stato un incipit che contemplava previsioni più opache, meno noblesse oblige. De Girolamo debutta alla Camera nel 2008 ed ė subito scoop intinto nel rosa con 50 sfumature di fucsia, un esordio quasi letterario, decisamente vistoso.

Ė lei, infatti, insieme alla giovanissima collega Gabriella Giammanco, divenuta successivamente nota alle cronache di gossip per il flirt con Augusto Minzolini, una delle due belle deputate a cui Silvio Berlusconi scrive un “pizzino”. Narrano le leggende del Transatlantico che, avendo visto le due ragazze graziosamente disattente, il Cavaliere abbia dato loro, via biglietto, l’ok a lasciare l’aula per andare a pranzo oppure a fare shopping. Non risulta che le suddette si siano ribellate spiegando, come sarebbe stato normale, che il compito dei parlamentari è lavorare a Montecitorio, non andarsene a spasso per le lussuose via Frattina o via Condotti magari seguite a pochi passi dall’auto blu.
Beata gioventù, direbbe Berlusconi, storicamente magnanimo nei confronti dei comportamenti “sopra le righe” delle donne del suo partito. Quella era, anche per Nunzia, la fase iniziale, la stagione dell’esordio, sottomessa e pacata, ed è durata comunque pochissimo. Già dopo qualche mese la Nostra aveva tirato fuori gli artigli dimostrando d’essere di fattura robusta, altro che galanterie d’antan o cortesie per gli ospiti, come direbbe lo scrittore inglese Ian McEwan da Aldershot.
Ben presto lei diventa centrale nel partito, si avvicina a Paolo Romani che è il deus ex machina per la comunicazione stando bene attenta però a mantenere i contatti con l’altra metà del cielo Pdl, tipe come Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Laura Ravetto, Annamaria Bernini e – crepi l’avarizia – perfino Daniela Santanché. Il plusvalore del ministro è il fiuto. Intuisce che l’ambiente femminile del suo partito ė insidioso e fa di tutto per non mettersi in mostra; la sua abilità è di invocare “il gioco di squadra” anche quando si capisce perfettamente che lei punta a ballare da sola.
È pragmatica, pianificatrice, sogna ciò di cui ha bisogno e soprattutto che può ottenere. Se le altre corrono dietro agli umori del Cavaliere rischiando di restare “zitelle”, lei non diserta una cena o un convegno, ma intanto cerca e trova marito altrove. In casa Pd avvista un bravo ragazzo pugliese che si è separato da una moglie bellissima Benedetta Rizzo ( general manager di Vedrò, think tank di Enrico Letta), è padre, ma ha un cuore grande e libero. Nunzia lo conquista con la sua genuinità, diventano la prima coppia della sentimental-Grosse koalition, fanno una bambina che ha il nome in greco attico della madre terra (Gea) incarnando il simbolo della capanna amorosa delle larghe intese. Come fa a far tutto?, si chiedono le amiche. E aggiungono maligne: vedrai che dopo la maternità lascia un po’ la politica. Invece la De Girolamo raddoppia, soffia il posto a molte pretendenti e ancora una volta lo fa senza generare invidia. La sua fortuna, direbbe il filosofo Eraclito, è il suo carattere.
Tenace, ruvido eppure apparentemente accomodante. Non c’è torto che lei non perdoni, non c’è fuoco che non riesca a spegnere con la parola. Chi ben comincia, si dice, è a metà dell’opera. Beh, lei ha cominciato con un “pizzino” ed è finita ministro dimostrando che volere è potere. Basta usare il cervello senza lasciarsi mai travalicare dall’emozione. In fondo, i torti passano, le poltrone, invece, restano e fanno storia.