Nuovo regolamento Ue sui partiti: cosa cambia davvero sulla trasparenza e i finanziamenti

Il regolamento Ue sui partiti promette trasparenza, ma rafforza i gruppi dominanti e restringe lo spazio per nuovi movimenti

Nuovo regolamento Ue sui partiti: cosa cambia davvero sulla trasparenza e i finanziamenti

Il Consiglio Affari generali di Bruxelles ha di recente approvato il nuovo regolamento sullo statuto e sul finanziamento dei partiti europei. Il testo, negoziato con il Parlamento, entrerà in vigore tra poche settimane. Secondo Bruxelles dovrebbe essere un salto avanti verso più trasparenza, più controlli, meno interferenze straniere. Ma dentro l’impianto della riforma la tensione si avverte subito: è un sistema più ordinato, non necessariamente più aperto.

Un restyling che lascia intatti i punti deboli

La Commissione aveva chiesto di intervenire già nel 2021, dopo aver documentato che il regolamento precedente conteneva falle sui controlli dei fondi e poca chiarezza sulle attività dei partiti europei nei singoli Stati. Il nuovo testo introduce obblighi formali: dichiarazioni sulla conformità ai valori Ue, regole sulle attività “congiunte” tra partiti europei e nazionali, limiti ai rapporti con soggetti extra-Unione. E conferma il divieto di usare soldi europei nelle campagne referendarie nazionali.

Ma l’impalcatura centrale resta la autodichiarazione. L’Autorità per i partiti europei (APPF) continua ad avere strumenti ridotti, competenze limitate e un mandato pensato più per la verifica documentale che per l’indagine sostanziale. La recente sentenza del Tribunale dell’Ue del 10 settembre 2025, che ha annullato una sanzione contro un partito europeo radicale per presunte informazioni fuorvianti, ha chiarito il perimetro: se la violazione non è formale, il controllo non regge. La trasparenza diventa un esercizio di modulistica.

I soldi: la parte che cambia tutto

Il cofinanziamento europeo sale al 95% per partiti e fondazioni. Le risorse autonome vengono plafonate al 3% per i partiti e al 5% per le fondazioni. È qui che la riforma mostra la sua vera direzione: i grandi gruppi europei – PPE, S&D, Renew, ECR – consolidano la loro posizione. Hanno seggi, personale, fondazioni collegate: anche con regole più rigide sanno come reggere la struttura.

Chi invece volesse nascere oggi come soggetto europeo deve farlo con un margine minimo di autonomia economica. Con il 3 per cento non si costruisce un movimento, non si mobilita un elettorato, non si sfida chi è in campo da decenni. La riforma cristallizza gli equilibri più di quanto li apra.

Interferenze straniere: il divieto formale non basta

Il regolamento vieta contributi e quote provenienti da partiti e organizzazioni di Paesi terzi. È un passo importante, dopo gli scandali che hanno coinvolto formazioni con legami opachi fuori dall’Ue. Ma il divieto colpisce i flussi diretti. Resta l’enorme area grigia delle fondazioni parallele registrate nell’Unione, delle associazioni politiche “amiche”, dei rapporti internazionali che non transitano dai bilanci.

I colegislatori possono scrivere che la riforma “rafforza la difesa dalle interferenze straniere”. Ma i canali che contano davvero sono fuori portata. E l’APPF (Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee ai fini della loro registrazione, del loro controllo e dell’irrogazione di sanzioni a essi applicabili a norma del regolamento) non ha né strumenti né personale per indagare reti che si muovono tra think tank, fondazioni e soggetti privati.

L’Italia nella nuova geografia europea

In Italia gli effetti si vedono subito. Per Fratelli d’Italia, attore centrale del partito europeo ECR, il nuovo quadro permette di finanziare con fondi europei una parte maggiore delle attività “europee” che però hanno un impatto diretto nella politica italiana. Eventi, forum, incontri internazionali: tutto può rientrare nelle attività congiunte. In un Paese che ha abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti, questa è una leva politica non secondaria.

Per il Pd, dentro il PES, la riforma garantisce stabilità a partito europeo e alla fondazione FEPS. Significa più continuità nelle campagne tematiche, produzione di studi, materiali e iniziative pubbliche. Ma significa anche una maggiore complessità nel tracciare l’origine dei fondi: tra bilancio europeo, 2×1000 nazionale e donazioni alle fondazioni italiane il quadro complessivo non è intuitivo neppure per chi segue la politica da vicino.

Una riforma che ordina, più che aprire

Il nuovo regolamento nasce per rafforzare la democrazia europea. Porta ordine amministrativo, definizioni più chiare e qualche barriera in più contro i finanziamenti esterni. Ma lascia intatti i problemi strutturali: controlli deboli, dipendenza quasi totale dai fondi Ue, limiti reali per chi vuole creare qualcosa di nuovo.

L’Europa dice di voler aprire lo spazio politico. Questa riforma, al contrario, rischia di costruire una democrazia più regolata ma meno accessibile. Un recinto con norme più fitte, dove chi è già dentro trova protezione e chi resta fuori vede una porta sempre più stretta.