O il Pd si coalizza o perde. Parla l’ex ministro Damiano: sbagliato partire da chi rottamare o no. Prima i programmi

Parla l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano: sbagliato partire da chi candidare o no. Meglio parlare di programmi

In casa del Partito democratico si torna a parlare di “rottamazione”. O almeno così sembra a leggere i giornali, col segretario Matteo Renzi che ha fatto filtrare l’intenzione del Nazareno di non ricandidare deputati e senatori del suo partito in Parlamento da 3 o più legislature, con l’eccezione del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dei ministri dell’attuale Governo (a cominciare da quello della Cultura Dario Franceschini). Nella lista ci sono nomi di peso: dall’ex presidente Gianni Cuperlo all’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti fino agli ex ministri di Romano Prodi, Barbara Pollastrini e Vannino Chiti. Ma anche Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro del secondo Esecutivo del Professore, il cui primo ingresso alla Camera è datato XV Legislatura (2006). “Personalmente non ho mai condiviso la ‘rottamazione’ – dice Damiano contattato da La Notizia –. Sono dell’idea che si debba tenere insieme chi porta con sé un’importante esperienza politico-sociale e la vitalità dei giovani. ‘Rottamare’, in sé, vuol dire poco…”.

Più che una “rottamazione”, a leggere i nomi di quelli che Renzi non vorrebbe più ricandidare sembra un’epurazione. Non crede?
Mi sembra un termine azzardato. Diamo tempo al tempo…

Lei ha già pensato se ricandidarsi o farsi da parte?
Ancora non lo so. Discussioni e decisioni in materia si faranno al momento opportuno.

Mi risponda sinceramente: ha mai pensato di lasciare il Pd?
No, sono in questo partito dal momento della sua fondazione e ci resterò per affermare una posizione di sinistra.

Veniamo alla questione alleanze. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha definito “impossibile” un accordo fra Renzi e Pisapia. Lei come la vede? C’è margine per dialogare?
Sala non ha tutti i torti. Effettivamente, guardando a quanto è avvenuto sabato scorso a Roma e Milano è emersa una certa incomunicabilità. Anche se bisogna fare una distinzione fra quanto è stato detto da Pisapia, che ha parlato di casa comune, e quanto ha affermato Bersani, che ha chiuso le porte al Pd di Renzi. Temo gli opposti estremismi.

Ma la logica di correre da soli dove porterà?
Da nessuna parte perché è sbagliata. Penso, come molti altri, per esempio lo stesso Pisapia e il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che si debba favorire il dialogo costruendo ponti. Altrimenti perdiamo.

Il ponte va costruito anche con gli altri partiti che orbitano a Sinistra, penso a SI e Possibile?
Prima di parlare di partiti, sigle e veti bisognerà partire dai programmi e vedere chi ci sta.

Lei è d’accordo col ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quando invoca un referendum fra gli iscritti in caso di un accordo con Forza Italia?
Sono d’accordo, perché si tratterebbe di mettere in gioco l’identità del Pd che a mio avviso deve rimanere nel campo della Sinistra. Non vedo al momento la necessità di alleanze con Berlusconi.

A settembre si tornerà a parlare di legge elettorale. Che sistema serve allora?
Un sistema che dia un premio alle coalizioni favorendo l’idea che non vinca la logica solitaria. Guardando all’attuale scenario, non mi sembra che ci sia la possibilità che un partito da solo riesca a fare strike.

Twitter: @GiorgioVelardi