La Sveglia

Occhi su Gaza, diario di bordo #47

Questa a Gaza non è pace. È la stessa guerra che continua con altri mezzi: la fame, la burocrazia, le prigioni.

Occhi su Gaza, diario di bordo #47

A Gaza la pace non ha portato silenzio, ma il ronzio dei generatori: la luce manca, l’acqua pure, e la gente continua a sopravvivere come in guerra. Secondo Oxfam, a cinque giorni dal cessate il fuoco Israele blocca ancora gli aiuti e l’ingresso delle ong. Solo un valico aperto e 716 camion entrati in totale, quando ne servirebbero almeno 600 ogni giorno. Gli aiuti restano fermi ai confini, mentre nella Striscia si contano 450 morti di fame, tra cui 150 bambini.

L’OMS parla di malattie “fuori controllo”: appena 13 ospedali su 36 sono parzialmente funzionanti, il resto è macerie. Nel nord non esiste più un reparto pediatrico. Il dottor Hussam Abu Safiya, che lo dirigeva, è stato condannato ad altri sei mesi di carcere senza accuse né processo. Amnesty International denuncia torture e sparizione forzata. È la stessa legge israeliana sui “combattenti illegali” che permette di imprigionare civili per tempo indefinito.

Intanto Israele discute se cambiare nome alla guerra: Netanyahu vuole chiamarla “Guerra della Rinascita”. Un modo per cancellare la memoria prima che arrivi la verità. Sul terreno, il ministro della Difesa fa tracciare una “linea gialla” che taglia in due Gaza: oltrepassarla significa essere colpiti. Ci siamo già dimenticati quando il governo italiano si vantava di “aiuti umanitari per Gaza”. Oggi nessuno dice dove fossero visto che oggi si applaude alla “ripresa dei convogli”, anche se i camion passano accanto a coloni che usano bambini come scudi per bloccare la farina. Questa non è pace. È la stessa guerra che continua con altri mezzi: la fame, la burocrazia, le prigioni. La domanda resta la stessa: chi sono i colpevoli, e chi li farà pagare?