Un Parlamento nel pantano pure nella lotta all’omofobia. La legge è ferma al Senato da tre anni e mezzo

Nel calderone delle leggi bloccate c'è anche il ddl Scalfarotto (“Disposizioni in materia di contrasto dell’ omofobia e della transfobia”)

Conflitto d’interessi, tortura, lobby, ius soli, partiti, concorrenza. Sono solo alcune delle proposte di legge rimaste incagliate in questi anni nelle secche delle commissioni parlamentari di Montecitorio e Palazzo Madama. Le più fortunate, si fa per dire, hanno superato almeno l’esame di una delle due Camere; le altre invece sono state chiuse a chiave nei cassetti dei Palazzi e difficilmente ne usciranno prima della fine della legislatura. Soprattutto perché in tempi di larghe intese, arrivati a questo punto, nessuno vuole scontentare i suoi elettori. Così nel calderone sono finiti loro malgrado anche provvedimenti come il ddl Scalfarotto (“Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia”): una legge molto attesa in un Paese come l’Italia, dove il 40 per cento degli omosessuali afferma di aver subito in vita sua almeno un episodio di discriminazione. Eppure? Dal 19 settembre 2013, giorno in cui è stato approvato alla Camera coi voti di Pd e Scelta civica, il disegno di legge che porta il nome del sottosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto è “parcheggiato” in commissione Giustizia al Senato.

Strada stretta – Ma “il problema principale non è il ritardo”, spiega a La Notizia la senatrice dem Monica Cirinnà, “quanto il fatto che i colleghi di Montecitorio hanno approvato un testo inutile. L’emendamento di Gregorio Gitti (ex deputato di Sc poi passato al Pd, ndr), volto a tutelare le opinioni espresse all’interno di organizzazioni di natura politica, culturale e religiosa e accolto col parere favorevole del nostro capogruppo in commissione Giustizia, Walter Verini, ha svuotato di significato la legge”. Insomma, l’attuale versione del ddl “non la vuole né la parte più attiva e progressista del Pd né tantomeno le associazioni Lgbt – dice Cirinnà –. Riusciremo ad approvarlo prima del termine della legislatura? Non credo: in Senato i numeri sono risicati e in tutto ciò insiste negativamente il congresso del Pd”, chiarisce la parlamentare dem.

Senza intesa – Concorde sulla difficoltà di portare a termine l’obiettivo prima del 2018 anche la relatrice del provvedimento, Rosaria Capacchione (Pd). “Quando era in discussione il ddl sul negazionismo provammo ad inserire una formulazione che si potesse estendere ad altri reati come l’omofobia ma non trovammo un punto d’incontro con la Camera”, ricorda la senatrice dem: “Viste le diverse sensibilità nella maggioranza, a questo punto trovo più utili degli interventi a carattere regionale”.

Twitter: @GiorgioVelardi

Riceviamo e pubblichiamo:

Caro Direttore,

Ho letto su “La Notizia” il servizio nel quale si trattava anche il tema della legge sull’omofobia, ferma al Senato da tre anni e mezzo. Nel servizio, anche per alcune frasi attribuite a Monica Cirinnà, si motiva la cosa affermando che alla Camera la legge sarebbe stata “svuotata di significato”, a causa dell’approvazione di un sub-emendamento presentato da Gitti, accolto “col parere favorevole del nostro capogruppo in Commissione Giustizia Walter Verini”. Sono necessarie alcune precisazioni a queste affermazioni quanto meno singolari.

La Camera approvò la legge a metà settembre 2013. Fu una approvazione importante: per la prima volta nel nostro ordinamento veniva introdotto il reato di omofobia, attraverso la estensione integrale della legge Mancino alla omofobia e transfobia. E dando per la prima volta, in questo modo, una risposta parziale, ma  civile alla libera soggettività sessuale. In aula il deputato Gitti presentò un subemendamento che ottenne il parere favorevole non mio, ma del relatore Scalfarotto e del Governo. Io mi alzai per annunciare voto favorevole. Il gruppo Pd votò a favore, come il resto della maggioranza. Se non avessimo votato quel subemendamento, la legge non sarebbe passata: lo sostenevano, come condizione, forze della maggioranza e una cinquantina di deputati del Pd. Facevano l’esempio classico: non si può impedire ad un prete di esprimere dal pulpito la sua contrarietà ai matrimoni egualitari! Nessuno voleva impedirlo, in realtà, ma metterlo per iscritto non avrebbe affatto svuotato di significato la legge. Così, ripeto, ritennero Relatore, Governo, Pd. Credo facemmo bene a votare quel “sub” e quella legge. Il testo Gitti, in realtà, si limitava a non considerare reati e atti di discriminazione delle opinioni. Per me non condivisibili, ma opinioni, espresse poi “all’interno” di associazioni, etc. Non a caso facemmo aggiungere il concetto legato a opinioni dentro i principi costituzionali: il che, naturalmente, avrebbe escluso dalle opinioni quelle condotte contrarie ai principi  della Carta. Votarono contro la legge Forza Italia e la Sinistra di opposizione. Per motivi diametralmente opposti. Verrebbe da dire: opposti estremismi.

Al Senato, mi rendo conto, i rapporti anche numerici sono più complicati che alla Camera. Altrimenti non si capirebbe perché altre leggi importanti siano in attesa da anni di esame (per esempio, dalla tortura alla legge che toglie il carcere per i giornalisti per il reato di diffamazione a mezzo stampa. E stressa fine ha fatto la legge che abbiamo licenziato alla Camera circa due anni fa contro l’obbligatorietà del cognome paterno…). Dalle parole di Cirinnà mi pare che ci siano anche motivazioni politiche. C’è chi pensa che quel sub-emendamento abbia svuotato la legge e chi, al contrario, pensa che quella legge sia un ponte verso l’inferno. Sono opinioni legittime, ma il risultato è che il reato di omofobia non è ancora nel nostro ordinamento. Io penso che il riformismo consista anche nel  compiere passi in avanti, nella giusta direzione. Per questo – analogamente – mi battei anche nel mio gruppo per evitare il rischio  che insistere sulla stepchild adoption avesse avuto come conseguenza quella di far naufragare la legge sulle Unioni Civili. Averla accantonata (la norma sulla stepchild) è stato un atto di buon senso. Insistere avrebbe messo a rischio le Unioni, per le quali nel mio piccolo ho creduto fino da quando feci – ragazzetto – campagna elettorale al referendum sul divorzio.

E, sommessamente, consiglierei di rivalutare quel voto della Camera contro l’omofobia e provare a portare a casa anche al Senato quel passo in avanti.

Walter Verini
Capogruppo Pd in commissione Giustizia alla Camera