Ieri, 24 ottobre 2025: l’Italia veste di blu i palazzi del potere. La bandiera delle Nazioni Unite sventola sul Quirinale, Montecitorio si illumina, i comunicati istituzionali parlano di pace, cooperazione, difesa dell’umanità. Il presidente Sergio Mattarella definisce l’Onu «asse portante della politica estera italiana» e respinge l’idea che sia un «superfluo orpello diplomatico». È la rappresentazione solenne di un Paese che si proclama custode del multilateralismo. Ma dietro la facciata cerimoniale vive un’altra storia, fatta di attacchi sistematici, delegittimazioni, sospetti alimentati e un linguaggio politico che ha scavato nell’autorità dell’Onu fino a indebolirne la credibilità.
Il doppio registro del potere: celebrare e diffidare l’Onu
Negli ultimi due anni la scena italiana ha offerto due voci distinte. Da una parte la postura del Quirinale, che si richiama all’articolo 11 della Costituzione e alla cooperazione internazionale come fondamento della Repubblica. Dall’altra il linguaggio del governo Meloni, che nelle sedi Onu ha parlato di fallimento del multilateralismo. Alla tribuna dell’Assemblea generale, la presidente del Consiglio ha chiesto di «riformare in modo pragmatico e realistico» l’Organizzazione, domandandosi retoricamente se essa abbia mantenuto la pace e concludendo che «la risposta è impietosa». In quel lessico, la riforma è una forma di sfiducia, l’istituzione appare come un contenitore inefficace, e la sovranità degli Stati viene indicata come principio da difendere anche contro il diritto internazionale condiviso.
Parallelamente, Matteo Salvini ha trasformato la critica in attacco aperto: ha accusato l’Onu di «finanziare sprechi, ruberie e mangerie», minacciando di tagliare i contributi italiani e dipingendo l’istituzione come un attore ostile che «vorrebbe venire a dare lezioni agli italiani». Quando l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha sollevato dubbi sul decreto Sicurezza, il vicepremier lo ha definito «pretestuoso» e ha chiesto una «dura presa di posizione» contro Ginevra. In altri casi, membri della maggioranza hanno rilanciato fake news smentite dall’Unhcr, sostenendo che l’Onu distribuisse «carte di credito ai migranti per favorire l’immigrazione clandestina».
Dalle urne di New York ai fondi congelati: la diplomazia a intermittenza
La linea italiana nelle votazioni Onu ha seguito una logica variabile. Nell’ottobre 2023 Roma si è astenuta sulla risoluzione per una tregua umanitaria a Gaza, prendendo le distanze dai partner europei che votarono a favore. Nel luglio 2025 ha sostenuto una risoluzione dell’Ecosoc che condannava selettivamente Israele sui diritti delle donne, vergando il voto al fianco di Paesi come il Qatar e l’Afghanistan. Solo nel settembre 2025 l’Italia è tornata a cosponsorizzare la soluzione dei due Stati, rientrando nel solco europeo dopo settimane di polemiche. Nel frattempo, in piena emergenza umanitaria a Gaza, i finanziamenti a Unrwa sono stati sospesi dopo accuse israeliane mai comprovate, e riattivati solo in forma ridotta e vincolata, mentre la quasi totalità degli aiuti veniva indirizzata a un dispositivo controllato da Roma. Il messaggio politico è chiaro: l’Onu è tollerata solo se risponde a condizioni dettate dall’esterno.
Il caso della relatrice speciale Francesca Albanese, sanzionata dagli Stati Uniti nel luglio 2025 per le sue analisi sulle violazioni dei diritti umani a Gaza, ha rappresentato un altro banco di prova. L’Ufficio per i diritti umani dell’Onu ha denunciato «una minaccia al sistema delle Nazioni Unite», l’Unione europea ha «deplorato» la scelta di Washington, ma dal governo italiano non è arrivata nessuna difesa istituzionale del mandato Onu di una funzionaria italiana. Il silenzio ha avuto il peso di una presa di distanza.
Il coro mediatico e l’eco internazionale
Una parte della stampa nazionale ha costruito per anni una narrazione in cui l’Onu diventa un «baraccone inutile», accusato di essere politicizzato, ostile a Israele, ostaggio di «burocrati globalisti». Il racconto ha risuonato con le campagne sovraniste internazionali, da Donald Trump che bolla l’istituzione come «affare in perdita» a Viktor Orbán che sfida apertamente le agenzie Onu accusandole di intromettersi nella sovranità degli Stati. L’Italia ha assorbito quel vocabolario, adattandolo alle dinamiche interne: la critica alla burocrazia multilaterale è diventata un modo per giustificare ogni distanza, ogni taglio, ogni sospensione.
L’80° anniversario dell’Onu non cancella questo percorso. Lo avvolge in una scenografia rassicurante, ricoperta da dichiarazioni solenni e palazzi illuminati. Ma sotto la superficie resta l’immagine di un Paese che celebra l’istituzione che, poco prima, ha accusato di inefficacia, condizionato finanziariamente, contraddetto nei voti e abbandonato quando colpita da sanzioni politiche. La bandiera blu, in questa scenografia, non copre le crepe: le rende più visibili.