Dissesto, il 72% dei fondi resta nel cassetto

di Antonio Acerbis

Settanta ettari di suolo edificato al giorno. Otto metri quadrati al secondo. In totale, 22 mila km quadrati di terreno cementificato che testimoniano “una crescita giornaliera del fenomeno che non sembra risentire dell’attuale congiuntura economica”. Sembrano in effetti dati surreali. Eppure è esattamente quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Ispra (Istituto per la Protezione e la Ricerca Ambientale), ente di ricerca del ministero dell’Ambiente, secondo cui “la progressiva espansione delle infrastrutture e delle aree urbanizzate a bassa densità sono una realtà sempre più diffusa nel nostro paese. Tali dinamiche insediative non sono giustificate da analoghi aumenti di popolazione e di attività economiche”. Ciò vuol dire che “il territorio e il paesaggio vengono quotidianamente invasi da nuovi quartieri, ville, seconde case, alberghi, capannoni industriali, magazzini, centri direzionali e commerciali, strade”. E chi più ne ha, più ne metta.

STALLO TOTALE
La conseguenza della cementificazione selvaggia, allora, non può che essere quella di un dissesto idrogeologico sempre maggiore, in territori che in molti casi già sono esposti, per questioni morfologiche, a tale pericolo. Ma ecco la domanda da un milione di dollari: cosa hanno fatto i vari governi in questi anni? Molto poco. Eppure, a sfogliare i decreti attuati e le leggi approvate negli anni, lo Stato sembra sia stato presente. Peccato, però, lo sia stato solo a parole dato che tutti i fondi stanziati sono stati poi bloccati o impiegati in altro. Secondo quanto rivelato da Legambiente, infatti, ad oggi lo Stato ha dato vita a ben 8 fonti di finanziamento e 12 procedure attuative: un totale di 2,3 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, di cui però 1,2 miliardi (il 53%) rimangono ancora da attivare, il che vuol dire che ancora devono essere espletate le procedure di selezione delle imprese. Le percentuali crescono se si considerano anche gli ulteriori 1,3 miliardi di euro stanziati dal governo Letta e (ancora) mai impiegati, che portano il monte complessivo a 3,6 miliardi di cui 2,6 ancora da attivare (il 72%). Ora la speranza è che Matteo Renzi e Maurizio Lupi sblocchino i fondi.

LE INCOMPIUTE
Con un capitale del genere, tanto si sarebbe potuto fare. A cominciare dalle numerose opere incompiute del nostro Paese. La situazione più drammatica è senza dubbio quella de L’Aquila e degli altri 56 comuni colpiti dal terremoto 2009, dove il finanziamento di centinaia di progetti, già approvato e pari circa ad un miliardo di euro, è bloccato dal patto di stabilità europeo. Ma certo non è il caso più assurdo. Il record, però, spetta al progetto dell’idrovia Padova-Venezia: i lavori sono stati avviati nel 1963. Oggi è ancora tutto fermo. Paradigmatica, infine, la storia della diga sul Metramo a Reggio: il costo, preventivato nel 1978 di 15 miliardi di lire, è via via lievitato fino ad arrivare a 420 miliardi. I lavori sono poi stati completati nel 1994. Ma il collaudo è avvenuto solo nel 2013. Ed oggi? Niente. Ancora tutto fermo, dato che manca il sistema di canalizzazione.