Ora la sfida è il Recovery Plan. Gentiloni: “E’ un fattore chiave per l’Italia. Se funzionerà, potrà essere un precedente”

Sul Recovery Plan “questa ora è la sfida. Lo è prima di tutto per la Commissione, perché bisogna garantire il successo dell’operazione in un momento di silenzio degli euroscettici in tanti Paesi. Se funzionerà, potrà essere un precedente. Noi a Bruxelles dovremo saper gestire la Recovery and Resilience Facility coordinando il lavoro dei governi ma senza sostituirci a loro; dovremo anche lavorare alle risorse proprie, nuove forme di entrate europee, per dimostrare che si puo’ fare debito in comune”. E’ quanto ha detto al Corriere della Sera il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni.

“Siamo – ha detto Gentiloni riferendosi all’Italia – fra i maggiori beneficiari nei programmi varati in queste settimane. Che il Recovery Plan abbia successo in Italia è un fattore chiave e anche qui credo che ci sia una rivincita europea. La scelta europeista è una carta d’identità di questo governo e penso che sarebbe utile rivendicarla come chiara scelta di campo. Chi fa l’europeista riluttante finisce per lasciar spazio ai nazionalisti, che su quel terreno sono sempre più competitivi”.

“Sappiamo tutti – osserva il Commissario europeo – che questo governo è nato in circostanze particolari, ma ora ha una gigantesca responsabilità politica: deve gestire una crisi acuta come mai nella storia repubblicana e ha a disposizione risorse come mai nella storia repubblicana”. Secondo Gentiloni fermare la divergenza fra economie “è stato il leitmotiv del mio lavoro. E’ il principio che abbiamo messo alla base del Recovery Fund. Certo, se ci si limita a paragonare l’entità del piano si potrebbe considerarlo modesto rispetto alle risorse mobilitate negli Stati Uniti. Ma noi non siamo uno Stato federale e quelle somme vanno sommate ad altre per un 4,5% di Pil in media di sostegni dei singoli governi e a un 24% circa di garanzie sul credito. Basterà? Bisogna che tutti i Paesi si impegnino per evitare quella che io chiamo la Grande divergenza”.