Ora Re Giorgio fa la vittima

di Fausto Cirillo

Esercita da otto anni un’influenza senza precedenti sulla politica italiana, e si è guadagnato l’appellativo di Re Giorgio per i suoi reiterati sconfinamenti dai rigidi limiti impostigli dalla Costituzione. Eppure il presidente Napolitano da qualche tempo a questa parte non perde occasione per evocare veri e proprie congiure a suo danno (lo ha fatto recentemente in una lettera al direttore del Corsera Ferruccio De Bortoli), messe in atto da chi non perde occasione per minarne l’autorevolezza. Una tesi che ha ribadito anche ieri, incontrando al Quirinale i magistrati ordinari in tirocinio. «Ho personalmente sperimentato contraddizioni, incertezze, opposte pregiudiziali che hanno ostacolato i necessari processi di rinnovamento in diversi campi della vita istituzionale: le ho vissute dedicando non piccola parte della mia attenzione e delle mie energie alle vicende e alle problematiche dell’amministrazione della giustizia e del rapporto tra politica e magistratura» ha detto in un discorso che non ha nascosto la sua amarezza riguardo alle dinamiche istituzionali del nostro Paese, e in particolare alla sempre infuocata linea di confine tra politica e giustizia. «Anche nell’anno trascorso – di forzoso (credo di poter dire) prolungamento delle mie funzioni di Presidente – credo di aver doverosamente tenuto ferma – per faziose, aggressivamente faziose che fossero le reazioni che mi venivano opposte – una linea di condotta ancorata soprattutto al principio della divisione dei poteri posto a base della Costituzione repubblicana». Toni plumbei, insomma, che lo hanno spinto a evocare la necessità di «un clima nuovo».

L’importanza dell’apparenza
L’incontro coi giovani magistrati è però servito anche ad auspicare un futuro più sereno. «Vedo in voi – ha detto il presidente del Csm – i rappresentanti di una nuova generazione che saprà non cadere prigioniera di un clima di tensione come quello che ha dominato da qualche decennio la nostra vita pubblica, rendendo difficile e spesso ingrato il compito del magistrato geloso della sua indipendenza e consapevole delle sue responsabilità. Voi siete chiamati a dare un contributo che potrebbe rivelarsi decisivo all’affermarsi di un clima nuovo, per pacatezza, per rispetto reciproco, per impegno e rigore nello sciogliere i nodi reali che hanno così negativamente inciso sulla funzionalità e sul prestigio dello Stato democratico». Per questo occorre che la nuova generazione di magistrati non dimentichi come l’esercizio della funzione giudiziaria sia «anche frutto di una interazione tra soggetti portatori di una comune responsabilità istituzionale, evitando personalismi e arroccamenti su posizioni precostituite, che non si confanno alla funzione. Il ruolo che vi apprestate a svolgere, come giudici o magistrati del pubblico ministero, esige scrupolosa applicazione delle norme, equilibrio, tensione morale, serenità e sobrietà di comportamenti, professionali e anche privati. L’incisivo potere di interpretare la legge, creando il ‘diritto vivente’, e l’ampia discrezionalità di cui godono i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni spiegano poi l’importanza che assumono anche le apparenze». Parole da sottoscrivere in toto, se solo si pensa come la lunga stagione berlusconiana sia stata fortemente caratterizzata dall’ostilità che una parte minoritaria ma agguerrita di toghe militanti ha sempre manifestato nei confronti del leader di Forza Italia e dei tentativi (certo discutibili, ma solo in Parlamento) di riforma della magistratura operate dai governi che di volta in volta ha presieduto.