Orsoni non molla: “Resto sindaco, ho lavorato per la città”

dalla Redazione

Il gip di Venezia ha revocato gli arresti al sindaco Giorgio Orsoni. Il primo cittadino torna quindi in libertà, pur restando indagato nell’ambito dell’inchiesta sul Mose. Lo ha confermato all’ANSA l’avvocato difensore di Orsoni, Daniele Grasso, che aveva fatto istanza al gip Alberto Scaramuzza.

Orsoni ha concordato, attraverso i suoi legali, con i Pm dell’inchiesta Mose un patteggiamento a quattro mesi. Sulla congruità del patteggiamento dovrà esprimersi il Gup. Orsoni è indagato per finanziamento illecito. Orsoni è tornato sindaco a tutti gli effetti dopo la remissione in libertà decisa dal gip. La carica era stata sospesa, dopo il provvedimento di arresti domiciliari nell’inchiesta Mose oggi revocato dal Gip, dal prefetto sulla base di quanto prevede dalla legge Severino. Il sindaco è giunto a Ca’ Farsetti alle 13 ‘scortato’ da alcuni vigili urbani e dai due legali di fiducia, Daniele Grasso e Maria grazia Romeo. Un breve applauso da parte di alcuni dipendenti ha salutato il suo ingresso. Poi è salito al primo piano dove ha l’ufficio.

Giorgio Orsoni ha escluso di dimettersi dall’incarico di sindaco. Lo ha detto rispondendo a una domanda nel corso della conferenza stampa convocata dopo la revoca dei domiciliari decisa dal Gip. Orsoni ha detto di aver sempre operato a favore della città: “mi sono fatto molti nemici e forse questo è lo scotto che ho pagato”.

Orsoni è così tornato subito al lavoro e tra i primi atti la convocazionedi una riunione di giunta e un incontro con tutti i gruppi consiliari. Dalle finestre del suo studio Orsoni ha potuto vedere la propria casa, dove è stato per una settimana senza possibilità di uscita, e il pennone con il gonfalone di San Marco rimesso dopo che era stato tolto mentre era ai domiciliari.

Giorgio ha detto di non aver mai immaginato “che venissero utilizzati sistemi illeciti” per la sua campagna elettorale nel 2010. Per Orsoni a ricevere il denaro era il suo mandatario: “non potevo sapere che i fondi fossero illeciti” e “su come le aziende del Cvn reperissero quel denaro”. Ho incontrato durante la campagna elettorale – ha aggiunto – “imprenditori o sedicenti tali che mi hanno detto che mi avrebbero sostenuto e votato senza sapere come e perch锓Non avevo un comitato elettorale – ha spiegato – sono stato sostenuto solo dai miei partiti: il maggior sostegno è venuto dal Pd e poi dagli altri con cui ho interloquito. Non ho mai ricevuto denaro che è stato gestito da altri. Io ho fatto il mio lavoro e mi sono posto contro chi voleva fare un utilizzo dissennato della città, mi sono opposto alle concessioni che solo uno Stato bene organizzato e forte può fare. Un modello che il nostro Stato forse non è in grado di gestire. Per questo mi sono fatto molti nemici”.

“Non mi sono proposto io come sindaco ma mi è stato chiesto dalle segreterie dei partiti e dal mio predecessore. Mi era stato chiesto in altre occasione e avevo rifiutato questa volta ho ceduto ed evidentemente ho sbagliato nel farlo” ha detto Orsoni dopo la sua remissione in libertà. “Mi addolora di più in questa vicenda – ha aggiunto – l’aver visto quanti hanno preso le distanze da me”. Orsoni ha ribadito che la sua campagna elettorale è stata sostenuta dai partiti che l’appoggiavano e da questi aver avuto indicazione che il suo avversario, Renato Brunetta, “aveva grandi disponibilità e che bisognava fare una campagna altrettanto imponente”. “Mi era stato suggerito – ha concluso – di cercare di avere maggiori finanziamenti, per i quali ho dato incarico al mio mandatario al quale non ho chiesto conto sui fondi raccolti”.

Pierluigi Baita, il grande accusatore del sistema Mose, prefigura sviluppi fino “ai vertici dei ministeri” dell’inchiesta veneziana. “La settimana scorsa – dice Baita in un’intervista a ‘L’Espresso’ – hanno messo agli arresti l’ing. Luigi Fasiol per un incarico di collaudo su mia segnalazione. Con questo metro dovrebbero arrestare parecchi alti dirigenti ministeriali, manager pubblici e giudici contabili. Invece non ho visto nulla sui 26 mln di euro in collaudi dati ai vertici dell’Anas”.

Enrico Letta ha dato mandato agli avvocati di agire in sede civile e penale per difendere la propria onorabilità contro chi lo ha associato alla vicenda Mose. Lo ha detto all’Ansa l’ex premier.