Nobel per la Pace, Oslo sceglie Machado: cala il sipario sul teatrino di Trump, ma sul riconoscimento alla venezuelana non mancano le ombre

María Corina Machado premio Nobel per il coraggio civile. Ma restano zone d’ombra: filo-israeliana, ultraliberista, molto vicina a Washington.

Nobel per la Pace, Oslo sceglie Machado: cala il sipario sul teatrino di Trump, ma sul riconoscimento alla venezuelana non mancano le ombre

Quando il Comitato norvegese per il Nobel ha annunciato che il Premio per la Pace 2025 andava a María Corina Machado, l’attivista che da oltre vent’anni sfida il regime di Maduro con metodi nonviolenti, a Washington e a Tel Aviv qualcuno è rimasto senza parole. Donald Trump, che reclamava il premio come coronamento della sua «tregua» a Gaza, ha perso anche questa battaglia: quella per la narrazione. La destra mondiale — e la sua succursale italiana — aveva costruito una campagna sguaiata: Salvini parlava di «Nobel a Trump», Tajani lo definiva «non scandaloso», mentre l’entourage di Netanyahu spingeva apertamente sul nome del presidente americano. A Oslo però il nome era già deciso: i criteri restano la democrazia e i diritti, non il clamore mediatico.

La realtà dei fatti

Machado è stata premiata per aver unito un’opposizione frammentata, per la mobilitazione civile e per la scelta di restare in Venezuela nonostante minacce e inabilitazioni. È il riconoscimento a una resistenza nonviolenta in un sistema illiberale. Secondo l’Istituto Nobel e l’agenzia Associated Press, rappresenta «uno dei più straordinari esempi di coraggio civile in America Latina».

Le criticità che vanno dette

Il profilo di Machado non è privo di ombre politiche. Sul versante internazionale ha coltivato un rapporto stretto con Israele: nel 2019 ringraziò pubblicamente Benjamin Netanyahu per il riconoscimento di Juan Guaidó e parlò di «nemici comuni» con lo Stato ebraico; l’anno successivo il suo partito, Vente Venezuela, siglò un’intesa con il Likud su cooperazione politica e sicurezza. È per questo che molti osservatori in America Latina la definiscono da tempo «filoisraeliana».

Sul piano economico, Machado è una convinta sostenitrice delle politiche di mercato. Le sue dichiarazioni pubbliche e i programmi del suo movimento indicano una linea di ampie privatizzazioni, deregolamentazione e apertura agli investimenti esteri, compresa la cessione parziale della compagnia petrolifera statale PDVSA. È un orientamento ultraliberista che la avvicina agli ambienti economici statunitensi e che le ha garantito il sostegno di think tank conservatori a Washington.

I rapporti con gli Stati Uniti

C’è poi la lunga controversia sui rapporti con gli Stati Uniti. La Ong Súmate, da lei co-fondata nel 2002, ricevette fondi dal National Endowment for Democracy, un fatto rivendicato apertamente negli Stati Uniti ma usato dal governo venezuelano come prova di «ingerenza straniera». Nel 2005 la questione sfociò in un procedimento giudiziario e in un incidente diplomatico, dopo un suo incontro con George W. Bush alla Casa Bianca.

A ciò si aggiunge la sua firma al decreto Carmona del 2002, documento che accompagnò il tentativo di colpo di Stato contro Hugo Chávez: un episodio che ancora oggi i detrattori le contestano come macchia indelebile del suo percorso politico.

Infine, la sua vicinanza all’agenda di Washington resta evidente. Machado ha più volte definito «necessarie» le pressioni statunitensi sul regime di Maduro e ha sostenuto che la linea dura della Casa Bianca rappresentasse «la migliore occasione per una transizione pacifica». È una posizione che le ha procurato forti critiche, anche in ambienti democratici sudamericani, che la accusano di dipendere troppo dalla protezione americana.

La caricatura della pace di Trump

Sul fronte opposto resta la farsa trumpiana. Il pressing per un «Nobel a Trump» ha scambiato la cronaca per la procedura: nomine tardive, risoluzioni parlamentari simboliche e slogan sulla «pace mondiale». Persino un ministro maltese aveva ammesso di aver presentato la candidatura il giorno prima dell’annuncio, ignorando che le iscrizioni si chiudono a gennaio.

In Israele, il premier Netanyahu aveva attaccato Oslo per la scelta su Machado, ma la decisione era già presa da giorni. La “campagna per la pace” di Trump si è rivelata un’operazione di propaganda personale, condotta a suon di post, comizi e frasi roboanti sulle «otto guerre risolte in otto mesi».

La lezione di Oslo

Il Nobel 2025 è un messaggio netto contro il mito dell’“uomo forte pacificatore”. Premia chi costruisce diritti in un contesto di oppressione, non chi li negozia come moneta di scambio geopolitica. Ma impone anche a Machado una responsabilità: dimostrare che la pace democratica che incarna non sia solo quella dei mercati o degli alleati forti. Perché la pace vera — quella che Oslo ha voluto riconoscere — resta tale solo se non diventa il paravento di nuove disuguaglianze o di nuove dominazioni.