Panni sporchi dentro al Pdl. Per Cattaneo serve la lavanderia

di Vittorio Pezzuto

Ride Alessandro Cattaneo, apprezzato sindaco di Pavia e forse il giovane più interessante prodotto in sede locale dal quasi ex Pdl. Ride quando gli facciamo notare che nel suo partito i big dibattono tra loro più nelle pagine dell’ultimo libro di Bruno Vespa che non nei gruppi parlamentari o nello stesso ufficio di presidenza. «In effetti la tendenza è quella di confrontarci nel momento e nei luoghi sbagliati. Pensiamo ad esempio a quanto è successo lo scorso 2 ottobre nell’aula del Senato: a tratti sembrava di assistere al congresso del Pdl. I panni sporchi si lavano in casa, anche se va riconosciuto che finora ci sono mancate le lavanderie. Per questo più volte ho rivolto l’invito a un partito che nasca dalla base, dal territorio. So bene come nella sua genialità Berlusconi non creda nei riti di partito e penso anch’io che la nuova Forza Italia non debba seguire le stucchevoli liturgie della sinistra. Ma per diventare protagonisti di questa fase dobbiamo poterci nutrire di idee differenti. Non è che possiamo aspettare che faccia sempre tutto Berlusconi. Se vogliamo creare un grande partito aperto che riesca a camminare sulle sue gambe e a contenere mondi diversi, dobbiamo costruire luoghi di discussione che ovviamente non ricordino la struttura pachidermica delle case della cultura tanto care alla sinistra».
All’indomani della condanna dell’ex premier i due partner della maggioranza hanno reagito come se sullo scenario politico si fosse abbattuto un meteorite del tutto imprevisto.
«È l’impressione che ho avuto pure io. Pd e Pdl mi sembrano due promessi sposi che si siano accostati all’altare con precise riserve mentali. Se fossimo davanti al tribunale della Sacra Ruota credo che vi sarebbero gli estremi per un annullamento del vincolo matrimoniale. Questo non significa che occorra staccare la spina alle larghe intese: io stesso posso definirmi più ‘governativo’ che non di opposizione. Però va riconosciuto che al momento di siglare il patto di maggioranza non abbiamo incalzato la sinistra su cosa intendesse fare in caso di condanna di Berlusconi. Forse avremmo svelato in anticipo il bluff di un Pd che non riesce a giustificare ai suoi militanti l’alleanza con il nemico che ha cercato di abbattere in tutti questi anni. È qui che casca l’asino: resta francamente difficile tollerare che il tuo partner acceleri a ogni curva per cercar di buttar fuori il leader con cui governa».
Si poteva rimediare anzitempo a questa situazione?
«A dirla tutta mi sarei aspettato che il capo dello Stato, che in questa fase sta riempiendo con la sua iniziativa il vuoto politico creato dalla debolezza dei partiti, avesse il coraggio di concedere la grazia a Berlusconi. D’altronde, se a marzo avesse nominato senatori a vita sia lui che Prodi oggi staremmo a raccontare tutta un’altra storia».
Che succederà adesso?
«Non lo so. Però non è escluso che la sua eventuale decadenza ne rafforzi paradossalmente la leadership. Berlusconi è sempre stato un uomo fuori dagli schemi e i cittadini continueranno a tributargli consenso e voti. Questo non piace alla sinistra e, va detto, anche noi non ce lo ricordiamo abbastanza».
È ancora favorevole alle primarie nel centrodestra?
«Sempre, soprattutto come metodo selezione della classe dirigente dal basso. Dovremmo usarle per scegliere i candidati sindaci e – perché no? – anche per definire gli organigrammi di partito».
Cosa si aspetta dalla nuova Forza Italia?
«Che sia strutturata ma leggera, positivamente convinta che la sua contaminazione con il mondo delle professioni non sia un pericolo ma un decisivo valore aggiunto. E soprattutto che sia senza tessere: non servono a nulla e determinerebbero le stesse aberrazioni a cui stiamo assistendo in questi giorni in casa Pd».
Che giudizio dà alla legge di Stabilità?
«Da sindaco e vicepresidente dell’Anci mi sento di dire che afferma un’importante inversione di tendenza. Per la prima volta da undici anni viene allentato il patto di stabilità per i Comuni, non ci sono tagli e si torna a parlare di virtuosità e costi standard. Però tutto questo non basta. Non dobbiamo limitarci al piccolo cabotaggio: dopo aver girato la boa dovremmo avere tutti il coraggio di aprire finalmente lo spinnaker, prendendo velocità sulla rotta delle riforme. A partire dal federalismo fiscale, una battaglia che il centrodestra non può ammainare».