Parla il filosofo Antiseri. La politica la smetta di non risolvere i problemi

di Vittorio Pezzuto

«Viviamo in un Paese bloccato, ostaggio di una classe politica che abdica al suo compito principale: risolvere i problemi» osserva sconsolato Dario Antiseri, tra i maggiori filosofi del nostro tempo. «In molti politici l’assenza di impegno morale e di competenza tecnica si traduce in malversazione e cura degli interessi personali. D’altronde il distacco dell’elettorato è stato deciso a tavolino per effetto di una legge elettorale voluta dalla destra ma che la sinistra non ha mai voluto cambiare: troppo comodo per i partiti poter disporre di un Parlamento nominato da quattro Caligola e formato da personaggi incolori che devono loro obbedienza assoluta. E poi, come sopportare oltre tanto i privilegi costosi quanto il costo dell’improduttività di un milione e 150 mila persone che vivono di politica? So bene che riducendo drasticamente il loro numero non si risolverebbero i problemi economici ma intanto avremmo riacquistato il bene più prezioso: quello della credibilità della classe politica».
Il governo delle larghe intese poteva essere l’occasione storica per riforme forse impopolari ma ineludibili.
«E invece si è rivelato finora incapace di proporre soluzioni, incapace di avere uno sguardo lungo. Mancano gli stessi presupposti per una politica di crescita e sviluppo. Mettiamoci per nei panni di un imprenditore: perché mai dovrebbe rischiare il suo capitale in un Paese dominato in larga parte dalla criminalità organizzata, guidato da una politica corrotta, asfissiato dal fisco, oppresso da una burocrazia cervellotica e lentissima, strozzato da banche che non erogano credito e nel quale non funziona la giustizia civile?».
Ma così non salva nessuno.
«Certamente le eccezioni esistono ma son convinto che un pesce pulito non potrà mai vivere a lungo nell’acqua sporca. Non sono un disfattista e so che esistono centri di formazione di grande livello. Purtroppo so anche che la politica non è stata finora in grado di assorbire queste competenze. È insomma accaduto quanto viene teorizzato in economia: la moneta cattiva ha scacciato quella buona. I capi bastone sono ormai disposti a nominare solo personaggi a loro inferiori: pensiamo soltanto alle centinaia di incompetenti posti ai vertici degli enti pubblici. Purtroppo non c’è nessuno che voglia seguire la lezione di Thomas Jefferson: ammetteva di non essere stato un grande uomo ma sosteneva di aver servito al meglio il suo Paese circondandosi di persone migliori di lui».
La classe dirigente sconta anche una carenza di formazione culturale?
È indubbio. Ronald Reagan e Margaret Thatcher studiavano i libri di Milton Friedman e Friedrich August von Hayek e hanno sempre avuto dei signor consulenti. Da noi si stenta addirittura a comprendere che storia e bellezza possono essere trasformati in beni economici e non si fa nulla per sviluppare l’industria del turismo culturale. Negli anni è mancata un’idea di sviluppo sostenuta da formazione e innovazione tecnologica. Non così ad esempio in Finlandia: nel 1989 la disoccupazione era del 20%; oggi questo Paese di 5 milioni di abitanti gode di un’economia fiorente favorita da 20 Università, 18 politecnici e 70mila ricercatori. E intanto noi cosa facciamo? Importiamo manodopera di basso livello ed esportiamo i nostri cervelli migliori».
Ormai tutti i leader (Berlusconi, Renzi, Grillo e Salvini) sono fuori dal Parlamento.
«È una situazione insolita, ma quello che conta è che siano portatori di idee e soluzioni credibili. Anche Grillo, che tutti accusano di rappresentare l’antipolitica. Ma perché, quelli che per anni ci hanno governato hanno invece fatto politica? L’antipolitica non esiste: esistono solo una politica buona e una cattiva. Grillo non esisterebbe se questi partiti non l’avessero inventato, alimentando giorno dopo giorno la sua protesta».
Il suo è un ritratto a tinte fosche.
«Guardi, questo Paese nonostante tutto va avanti perché c’è gente che la mattina si alza e manda avanti la baracca. Personalmente sono indignato con l’intellighenzia culturale e politica cattolica, passata dalla diaspora all’assenza. L’anno scorso la Caritas ha distribuito 7,5 milioni di pasti: se non ci fosse avremmo le piazze invase da accattoni disperati. E non dimentico i 91 centri antiusura, i centri di ascolto e socio-sanitari, i medici in pensione che vanno a curare gratis i malati nelle carceri, i preti in prima fila contro la criminalità e nell’assistenza ai tossicodipendenti. Il mondo del volontariato cattolico è immenso, buono, sano, silenzioso. Ma chi lo rappresenta? Senza di esso avremmo un’Italia ancora più in ginocchio. Sa cosa mi dispiace di più?».
Dica.
«Che lascerò un’Italia peggiore di come l’ho trovata. Siamo un Paese anestetizzato, ripiegato su se stesso. E i governati troppo spesso tendono ad assomigliare ai governanti, guardando al piccolo interesse e corrotti dalla piaga del familismo amorale. Perché qui, ormai, a mancare è la speranza».