Patto di Stabilità Ue, Lega e FdI in fuga dal voto e da Giorgetti

Per la premier Meloni la riforma del Patto di Stabilità era una vittoria. Ma al momento dell'ok i suoi si sono volatilizzati.

Patto di Stabilità Ue, Lega e FdI in fuga dal voto e da Giorgetti

La Commissione Econ del Parlamento europeo ha approvato la riforma del Patto di stabilità confermando a maggioranza il proprio voto favorevole a quanto emerso dai negoziati inter-istituzionali sui tre testi di legge che compongono le nuove regole fiscali. Chi mancava nel momento del voto? Gli europarlamentari di Fratelli d’Italia e della Lega.

Per la premier Meloni la riforma del Patto di Stabilità era una vittoria. Ma al momento dell’ok i suoi si sono volatilizzati

Il 20 dicembre dell’anno scorso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in una nota da Palazzo Chigi definiva l’accordo preso a Bruxelles “un compromesso di buonsenso per un accordo politico”. “L’Italia è riuscita, non solo nel proprio interesse, ma in quello dell’intera Unione, a prevedere meccanismi graduali di riduzione del debito e di rientro dagli elevati livelli di deficit del periodo Covid”, dettava Meloni, che di fronte ai giornalisti si diceva “soddisfatta”, anche se non era “il Patto di stabilità che avrei voluto io”.

Da canto suo il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti aveva sottolineato, in Commissione bilancio della Camera, come con il nuovo patto di stabilità “probabilmente abbiamo fatto un passo indietro”, ma “la valutazione però la faremo tra qualche tempo, rispetto al vecchio ha il pregio che la Commissione può costruire un percorso per ogni singolo paese”, quindi con un sistema di regole “complicato ma mobile”.

La vittoria sventolata da Meloni settimana dopo settimana ha cominciato ad ammainarsi

La vittoria sventolata da Meloni settimana dopo settimana ha cominciato ad ammainarsi. L’altro ieri in commissione l’ultimo atto. Gli europarlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia membri titolari della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo hanno disertato il voto. “Evidentemente si vergognano di mettere la faccia sui tagli draconiani che questa riforma porterà al nostro Paese”, dice l’europarlamentare dei 5s Tiziana Beghin, che sottolinea la “presa di distanza pusillanime” che “non cambia le responsabilità su come si è arrivati a questo testo”. “Il loro Ministro Giancarlo Giorgetti lo ha negoziato in Europa e Giorgia Meloni lo ha più volte difeso. È loro la responsabilità politica – aggiunge Beghin – del ritorno dell’austerity e noi glielo ricorderemo ogni singolo minuto in campagna elettorale. La strategia dello struzzo e cioè far finta che i problemi creati non esistano con i cittadini non funziona”.

Uno studio della Confederazione europea dei sindacati (Ces) basato sui calcoli del prestigioso think tank Bruege ha ipotizzato che il nuovo Patto di stabilità porterà a un taglio alle spese per sanità, istruzione e investimenti che potrebbe arrivare a 100 miliardi di euro in Ue nei prossimi anni. Di cui un quarto solo in Italia. La riforma potrebbe costringere l’Italia a tagli annuali al bilancio tra lo 0,61% e l’1,15% del Pil (le percentuali più alte in Ue dopo Belgio e Slovacchia). Questo dipenderà dal tipo di piano di rientro del debito che il nostro governo concorderà con la Commissione europea (una delle novità della riforma), ossia se un piano di 4 anni o uno di 7 anni.

I sovranisti disertano la Commissione. M5S: “Si vergognano di metterci la faccia”

Nel primo caso, il taglio annuale, calcola la Ces, sarebbe di 25,4 miliardi. Nel secondo caso, lo sforzo scenderebbe a 13,5 miliardi. L’Italia ha ottenuto clausole per ammortizzare i tagli nell’immediato ma per Jeromin Zettelmeyer, economista tedesco con un passato da direttore al Fondo monetario internazionale, se lo sconto nel brevissimo termine “renderà la vita più facile ai governi che hanno negoziato il compromesso” (quindi a Meloni), il rinvio del pagamento degli interessi graverà sui “loro successori”.

“La riforma del Patto di Stabilità che obbligherà l’Italia a tagliare 12/13 miliardi l’anno – spiega Beghin – è passata in Commissione sostenuta da una maggioranza che va dai socialisti a Orban, passando per i liberali e i popolari. Tutti uniti, ahimé, nel difendere l’austerity”. Per l’Italia mancavano solo i diretti interessati.