Patto segreto

di Gaetano Pedullà

Se sono inchieste elettorali ben vengano le elezioni, perché della corruzione sull’Expo o dei metodi di Bazoli nel gestire l’alta finanza abbiamo letto (e in questo giornale anche scritto) decine di pagine. Tutto inutile; fino a pochi giorni fa il sistema continuava a girare indisturbato. Poi improvvisamente si svegliano le Procure, e a ridosso dalle elezioni arrivano a puntare i due bersagli più grossi: il maggiore cantiere del Paese e il dominus indiscusso dei salotti buoni dell’economia nazionale. Così le indagini, pur piene di riscontri, inevitabilmente finiscono per dare la sensazione di una saldatura tra pezzi della magistratura, l’attacco al sistema di Grillo e un po’ di stampa amica, da singoli giornalisti sparsi qua e là al Fatto Quotidiano. Che lo si voglia ammettere o no, il disgusto degli elettori di fronte a queste storie, apparse proprio mentre si va a votare, è un colpo durissimo al muro sempre più fragile dei grandi partiti. Tanto da costringere Renzi e Berlusconi ad alzare la posta, il primo con l’estensione degli 80 euro in busta paga a cassaintegrati e ex lavoratori rimasti disoccupati; il secondo alimentando il vespaio per il golpe ordito dalle cancellerie estere quando era premier. Come fu vent’anni fa, la raffica di inchieste ci sbatte in faccia una domanda. A quell’epoca  era: vogliamo ancora i vecchi partiti? La risposta fu chiara e dalla Dc al Psdi furono travolti tutti. Oggi la domanda è: vogliamo ancora gli Scajola, i banchieri che a ottant’anni controllano le banche, le cupole affaristiche ricomparse sotto l’ombrello di Forza Italia e Pd? Se la risposta sarà come allora, Grillo è su un’autostrada che può portare lontano. Le altre Procure sempre permettendo.