Pd senza tessere. La politica non è per tutti

di Gaetano Pedullà

Avete mai visto un negozio che chiude le porte per non fare entrare i clienti? Se lo facesse, presto o tardi andrebbe in fallimento. Al Pd vogliono fare questo: lasciare fuori dall’uscio chi chiede la tessera. Una mossa per fermare i giochi delle correnti che però assesta un nuovo colpo a quel poco di partecipazione politica che resta in Italia. Con un Parlamento di nominati, con partiti politici più simili a bunker che a luoghi di confronto delle idee, con un Palazzo sempre più lontano dalla gente comune, adesso non si consente nemmeno di aderire a un partito. Così la nostra politica getta la maschera: i cittadini non servono se non al momento delle urne. Per il resto basta il potere, sapersi accordare e dividere i privilegi. Piuttosto che difendersi dal declino, aggiornarsi, cercare proseliti tra i giovani (e dunque pensare al futuro), il Pd che si prepara al congresso dell’8 dicembre litiga sul più grande simbolo della politica del passato: le tessere. Una follia, perché il domani (ma anche l’oggi, chiedere a Grillo e Casaleggio) è fatto di connessione, di appartenenze che vanno e vengono, di conquista quotidiana del consenso. Terreni scivolosi, è chiaro, per un partito che ha appena triturato la questione morale (Povero Berlinguer!) applaudendo il ministro Cancellieri “a disposizione” della famiglia Ligresti. Un partito che pur di stare al governo fa comunella con Berlusconi e che attacca i populismi invece di chiedersi perché il suo stesso popolo della Sinistra è sempre più distante, sempre più scontento. Pessime premesse per il nuovo leader che verrà, sia esso Renzi, Cuperlo, Pittella o Civati. Un partito che chiude le porte, invece di aprirle, è come un corpo dove non circola più il sangue. Invecchiano le idee, cadono i valori, manca la speranza di futuro. Se Pd vuol dire “Prigionieri dentro”, sappiano che l’Italia è fuori.