Pensionati truffati in Svizzera. Stangata al patronato Inca-Cgil. Il direttore della sede di Zurigo raggirò 480 italiani. L’ente di assistenza condannato a risarcire 238mila euro

Lo slogan è di bell’effetto: “Ovunque ti trovi, Inca difende i tuoi diritti”. Ma non ha convinto la seconda sezione del tribunale civile di Roma, che ha condannato lo storico patronato della CGIL, una corazzata da 5 milioni di iscritti e 600 mila assistiti all’estero, con una sentenza che farà storia. Soprattutto in Svizzera. Dove per tutta la vita ha lavorato Cosimo Covello, classe 1945, destinatario del risarcimento di 237.892,69 euro (più rivalutazione e interessi) disposto dal giudice Alfredo Matteo Sacco. Il motivo? Proprio alla sede dell’Inca-Cgil di Zurigo, cui Covello si era rivolto per le pratiche pensionistiche, il direttore Antonio Giacchetta si è impadronito della sua pensione e dei suoi risparmi (oltre 300 mila franchi svizzeri) lasciandolo sul lastrico.

ALL’OMBRA DEL PATRONATO. Truffa, falso e appropriazione indebita. Sono questi i reati per cui nel 2015 il tribunale di Zurigo ha condannato Giacchetta a nove anni, poi ridotti a sette e tre mesi. Secondo la corte elvetica, tra 2001 e 2009 ha gestito le prestazioni previdenziali di 480 italiani, quasi 35 milioni di franchi svizzeri finiti in buona parte sui suoi conti privati. Spendeva 45 mila franchi al mese quando il suo stipendio non superava gli 8 mila, e “con grande egoismo e senza il minimo scrupolo” ha sperperato 12 milioni in orologi di lusso, prostitute e per mantenere cinque amanti.

Inutilmente, però, i giudici zurighesi hanno imposto al patronato di risarcire i danneggiati: L’Inca Svizzera si è sottratta a ogni responsabilità (“Nel 2012 hanno addirittura chiamato la polizia per farci sgomberare quando siamo andati a chiedere chiarimenti e assistenza”, ricorda Marco Tommasini, portavoce del Cdf, il comitato delle vittime, tra cui c’è suo padre) e ha chiuso i battenti, salvo riaprirli sotto un altro nome, negli stessi uffici e con lo stesso personale. E la casa-madre italiana? Ha sempre dichiarato la sua totale estraneità alle vicende della consociata svizzera. Esattamente come ha fatto Susanna Camusso per la CGIL, anche se l’INCA rivendica di essere una delle quattro “verticalità del sistema servizi” del sindacato.

MURO DI GOMMA. Tante interrogazioni presentate da allora (l’ultima è di Edmondo Cirielli, Fdi) non hanno smosso nulla. Senza esito anche l’indagine sui patronati condotta al Senato, nel 2017, dal Comitato per gli italiani all’estero (presidente Claudio Micheloni, Pd). Quanto al ministero del Lavoro, responsabile della vigilanza sui patronati (a cui distribuisce lo 0,199 per cento dei versamenti obbligatori all’Inps, all’Inail e all’Ipsema, oltre 300 milioni l’anno): silenzio assoluto. “Ci era rimasta un’unica strada per avere giustizia: fare una causa civile in Italia contro l’Inca-Cgil e il ministero. La loro negligenza ha permesso a Giacchetta di rubare per anni” spiega Tommasini.

Cosimo Covello ha fatto da pesce-pilota. E la sentenza 11301/2020 gli ha dato ragione in pieno: l’Inca-Cgil italiana “ha promosso la costituzione dell’Inca-Cgil Svizzera, ha provveduto regolarmente al suo finanziamento, ne ha diretto e indirizzato la gestione, (lo) ha presentato al pubblico come una delle proprie articolazioni operative estere”. Dunque non si scappa: “deve rispondere direttamente e patrimonialmente” dei danni. E senza aiutini, perché il ministero è stato liberato dal giudice di ogni responsabilità, l’Inca dovrà ora prepararsi ad affrontare almeno un’altra ventina di cause-fotocopia. Con un conto, annunciano da Zurigo, parecchio più salato: 2,5 milioni di franchi. Svizzeri.