A partire dal 2022 si potrà andare in pensione soltanto dopo aver compiuto 67 anni. La fine di Quota 100 annunciata dal governo non è l’unica novità del sistema previdenziale. L’anno del ritiro sarà possibile con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 per le donne). E un’unica eccezione: “Misure mirate a categorie con mansioni logoranti”.
Dal 2022 in pensione non prima dei 67 anni: con la fine di Quota 100 l’anticipo solo per le mansioni logoranti
I sindacati hanno chiesto al ministro del Lavoro Andrea Orlando di aprire un tavolo, ma per adesso le risposte non sono incoraggianti. Intanto la Lega rilancia Quota 41, ovvero l’uscita con 41 anni di contributi. Ma per adesso, spiega oggi Repubblica, l’unica risorsa con un’Ape sociale per «le mansioni logoranti».
E niente per lo scalone di 5 anni che scatta a gennaio (il passaggio dai 62 anni di Quota 100 ai 67 anni standard). Ape tra l’altro da rivedere, visto che l’attuale ha beneficiato solo 3.317 lavoratori “gravosi” dal 2017. L’Ape – anticipo pensionistico a 63 anni con 30 o 36 di contributi er lavoratori disagiati – è stata inventata nel 2017 dal governo Gentiloni per temperare gli effetti della riforma Fornero giudicata dai sindacati – nella loro piattaforma unitaria – «tra le più restrittive d’Europa».
In effetti tra nove salvaguardie di esodati dal 2011 in poi, Ape, Quota 100, anticipi per i precoci (chi ha iniziato a lavorare presto), Opzione Donna – calcola Alberto Brambilla per Itinerari Previdenziali – gli «scampati» alla legge Fornero sono stati 770 mila in nove anni, con un costo di 30 miliardi. Fatta la legge, trovati gli scivoli.
Oggi i sindacati chiedono di archiviare il sistema delle quote. E anticipare nei fatti, senza smontare la legge Fornero, il meccanismo del contributivo totale: uscita libera dai 62 anni di età (e almeno 20 di contributi) o con 41 di contributi a prescindere dall’età. Ma la commissione che doveva decidere se scorporare le due voci non si è mai riunita in 4 anni. Così come quella per esaminare quali lavori sono gravosi.