Il capitolo pensioni agita la maggioranza. L’ultimo emendamento presentato martedì alla Manovra contiene un giro di vite pesante sulle pensioni anticipate. Innanzitutto, dal 2032 la ‘finestra mobile’ (ovvero il tempo che passa tra il raggiungimento dei requisiti e il momento in cui si inizia a ricevere l’assegno) si allungherà progressivamente. Inoltre, viene decurtato il contributo del riscatto della laurea al raggiungimento dei requisiti. Una plateale sconfitta per la Lega di Matteo Salvini che aveva promesso il superamento della legge Fornero. Ebbene, il giorno dopo la sberla assestata al Carroccio che ha dovuto ingoiare pure lo schiaffone sullo slittamento dei fondi del Ponte, i leghisti passano all’attacco dei “burocrati” del Mef, dimenticando che il ministero di via XX Settembre è guidato dal loro collega di partito, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Il capitolo pensioni imbarazza la maggioranza
“Finché c’è la Lega al Governo non esiste né oggi né mai nessun provvedimento che alzi i parametri dell’età pensionabile men che meno che sottragga il riscatto della laurea. Siamo purtroppo di fronte all’ennesima ‘manina’ intervenuta sul testo della manovra finanziaria il quale può senz’altro essere sindacato ma solo se approvato dal Parlamento, cosa che in questo caso non è avvenuta e dunque rimane solo mera speculazione”, tuona Armando Siri, consigliere per le politiche economiche di Salvini.
“In assenza di intervento immediato del governo noi sicuramente presenteremo emendamenti”, annuncia il leghista Claudio Borghi. Le modifiche al capitolo previdenziale imbarazzano pure Forza Italia. “Il governo ha inserito delle norme che entreranno in vigore nel 2030, ci ragioneremo”, dice ad Affaritaliani l’azzurro Raffaele Nevi. Tanto da costringere la premier a un mezzo passo indietro. “Nessuno che ha riscattato la laurea vedrà cambiata l’attuale situazione, qualsiasi modifica che dovesse intervenire varrà solo per il futuro. L’emendamento in questo senso dovrà essere corretto”, dice Giorgia Meloni. E si segnala pure la marcia indietro sull’innalzamento del tetto del contante dai 5 ai 10mila euro. E’ stato infatti ritirato l’emendamento di FdI.
Meloni dà i numeri su pressione fiscale e povertà
Intanto Meloni dà i numeri in Parlamento. Nel corso delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo, la premier è tornata a dire che la pressione fiscale sale perché che oggi lavora un milione di persone in più. Come hanno spiegato gli economisti Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo su lavoce.info la pressione fiscale è un rapporto tra entrate e Pil e i maggiori redditi degli occupati entrano anche nel Pil, cioè nel denominatore del rapporto. Se la pressione fiscale cresce, è perché i redditi dei lavoratori sono tassati di più degli altri redditi.
“Il balzo della povertà assoluta c’è stato tra il 2021 e il 2022. Nel 2021 era al 7,7 per cento, nel 2022 era arrivato all’8,3 per cento e quindi mi pare che se noi stiamo moltiplicando la povertà, non mi pare che andasse meglio quando c’erano altri al governo”, dice ancora la premier. Noi abbiamo altri numeri di riferimento. L’incidenza della povertà assoluta, ha spiegato l’Istat nell’ultimo Rapporto sul Bes, peggiora nel lungo periodo: dal 2014 (6,9%) cresce costantemente, ad eccezione del 2019 (7,5%), anno in cui è diminuita per effetto congiunto del Reddito di cittadinanza e del miglioramento dei livelli di spesa delle famiglie. Nel 2022 l’incidenza torna a crescere (9,7%), in larga misura per la forte accelerazione dell’inflazione che colpisce in maniera più dura le famiglie meno abbienti. Negli anni successivi è sostanzialmente stabile: 9,7% nel 2023 e 9,8% nel 2024. Dunque Meloni non dice che il suo governo non ha fatto nulla per far scendere il dato sull’incidenza della povertà assoluta che è invece diminuito solo nel 2019 quando al governo c’erano “gli altri”.