Per aiutare le donne basterebbe non farle aspettare due anni per una mammografia

Due anni per una mammografia. Mesi d'attesa per interventi urgenti e visite specialistiche. Così il Governo si prende cura delle donne.

Per aiutare le donne basterebbe non farle aspettare due anni per una mammografia

Nel giorno in cui la retorica sulla natalità e sul ruolo delle mamme per la Patria impazza per “Gli stati generali della natalità” i dati irrompono. Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava effettuato entro un mese, due mesi per una visita specialistica ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita di controllo cardiologica da effettuare entro 10 giorni.

Due anni per una mammografia. Mesi d’attesa per interventi urgenti e visite specialistiche. Così il Governo si prende cura delle donne

Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, da difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate. Sono alcuni dei dati contenuti nel Rapporto civico sulla salute 2023 di Cittadinanzattiva, presentato ieri a Roma al ministero della Salute.

Nel dettaglio, per le prime visite specialistiche, quelle che hanno una classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni),” i cittadini che ci hanno contattato – riferisce Cittadinanzattiva nel report – hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica”. Senza codice di priorità si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica. E ancora, quanto alle visite specialistiche di controllo, una ginecologica con priorità U (urgente, da effettuare entro 72 ore) è stata fissata dopo 60 giorni dalla richiesta. Per una visita di controllo cardiologica, endocrinologica, fisiatrica con priorità B (da fissare entro 10 giorni), i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60.

Per una visita ortopedica, sempre con classe d’urgenza B, ci sono voluti addirittura 90 giorni. Una visita endocrinologica senza classe di priorità è stata fissata dopo 455 giorni, dopo 360 giorni una visita neurologica. Il ‘cahier de doléances’ continua: sono stati segnalati 150 giorni per una mammografia con classe di categoria B breve (da svolgersi entro 10 giorni), e 730 giorni sempre per una mammografia ma con classe di categoria P (programmabile), 365 giorni per una gastroscopia con biopsia in caso di classe non determinata. Per gli interventi chirurgici: per un’operazione per tumore dell’utero che doveva essere effettuata entro 30 giorni (Classe A), la paziente ha atteso 90 giorni, tre volte tanto rispetto ai tempi previsti.

E ancora: per un intervento di protesi d’anca da effettuarsi entro 60 giorni (classe di priorità B), c’è stata un’attesa di 120 giorni, il doppio rispetto al tempo massimo previsto. Terminata la pandemia i cittadini si trovano con una sanità malmessa, nonostante le promesse e i proclami di chi spergiurava di avere imparato la lezione impartita dal Covid: non solo liste di attesa, anche pronto soccorso allo stremo, medici di medicina generale assenti in molte aree non a caso definite ‘deserti sanitari’.

E ancora: il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, trasformando la salute in ‘privilegio’ per chi può permetterselo economicamente. Così per molti italiani l’attesa si è trasformata in rinuncia alle cure. Il report, alla seconda edizione, integra i dati provenienti dalle 14.272 segnalazioni dei cittadini, giunte nel corso del 2022 alle sedi locali e ai servizi Pit Salute di Cittadinanzattiva, con dati provenienti da fonti istituzionali, accademici o della ricerca. L’obiettivo è mostrare come si traduce oggi il diritto alla salute nel complesso sistema del federalismo sanitario.

Accanto ai mai risolti problemi generali di liste di attesa e accesso alle prestazioni (che raccolgono quasi una segnalazione su tre, 29.6%), i cittadini – dettaglia una nota – denunciano carenze in tutti e tre gli ambiti dell’assistenza sanitaria: quella ospedaliera (15,8%), quella territoriale (14,8) e l’area della prevenzione (15,2%). Al quinto posto la sicurezza delle cure (8,5%). Seguono le segnalazioni su accesso alle informazioni e documentazioni (4,5%), assistenza previdenziale (2,8%), umanizzazione e relazione con operatori sanitari (2,6%), spesa privata e ticket elevati (1,7%) e assistenza protesica e integrativa (1,4%). A crescere rispetto al 2021, sono soprattutto le problematiche che riguardano l’accesso alle prestazioni (+5.8%) e quelle legate all’assistenza in ospedale (+4,4%).

“I dati presentati in questo rapporto, e le storie che le persone raccontano ai nostri attivisti sul territorio, ci mettono nella urgenza di proclamare come cittadini lo stato di emergenza sanitaria e una mobilitazione permanente a difesa del nostro Servizio sanitario nazionale, come annunciamo nel nostro Manifesto e nella petizione su Change”, dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

“Per superare l’urgenza sanità – sostiene ancora Mandorino – chiediamo che siano riaffermate cinque condizioni, cinque chiavi di accesso alla casa comune del Ssn: l’aggiornamento periodico e il monitoraggio costante dei Livelli essenziali di assistenza, che devono essere garantiti ed esigibili su tutto il territorio nazionale; l’eliminazione delle liste di attesa attraverso un investimento sulle risorse umane e tecniche, una migliore programmazione e trasparenza dei vari canali, un impegno concreto delle Regioni per i Piani locali di governo delle liste di attesa; il riconoscimento e l’attuazione del diritto alla sanità digitale per ridurre la burocrazia, comunicare meglio con i professionisti e accedere a prestazioni a distanza”.