Il governo sta lavorando a un decreto sulla sicurezza sul lavoro. Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Flepar, da quel poco che è emerso finora ritiene siano misure sufficienti?
“Non è emerso molto nei dettagli, bisogna anche vedere come vengono fatte concretamente certe operazioni. In linea teorica il principio di ridurre i premi assicurativi per chi investe in sicurezza ci vede favorevoli perché noi come Flepar ci battiamo da tanto tempo su questi temi, già nel 2014 avevamo fatto una proposta pubblica proprio in questo senso. Quello che speriamo emerga dal testo è che ci sia un collegamento con la prevenzione operativa, non solo controlli su carta o adempimenti burocratici che non sono garanzia di lavoro sicuro, perché bisogna vedere come concretamente lavorano in quell’ambiente. Dobbiamo cercare di essere sul campo, nei luoghi di lavoro e accanto ai datori di lavoro, perché si pensa molto alle grandi aziende, ma in realtà spesso gli infortuni avvengono in piccole e micro aziende in cui il datore di lavoro lavora in azienda. Mi auguro che il decreto pensi a queste piccole realtà, che hanno più difficoltà ad affrontare la sicurezza sul lavoro”.
Il tavolo con i sindacati è partito, ma c’è il rischio che arrivi in ritardo?
“Questi tavoli spesso durano tanto e non si sa bene cosa producano, peraltro sempre con gli stessi soggetti. Noi chiediamo che siano allargati ad associazioni specialistiche come la nostra, ad esempio, composta da professionisti e tecnici pubblici. E poi, in realtà, è sempre tardi: nel momento in cui ogni giorno c’è un morto, è già tardi. Si reagisce solo con più ispettori, ma non basterebbero mai per stare su tutti i luoghi di lavoro. Quel che dobbiamo fare è incidere sulle condizioni di lavoro, prevenire l’infortunio. Dopo l’introduzione della patente a punti, abbiamo segnalato che non fosse così efficace perché non entrava nei luoghi di lavoro e non andava a verificare le condizioni effettive di lavoro. Più che le sanzioni, la leva per sostenere gli imprenditori a incentivare la sicurezza è quella economica; accanto agli incentivi ci devono essere anche i disincentivi. L’impresa deve poter contare su un incentivo economico se adotta soluzioni tecnologiche per migliorare la sicurezza, sapendo che può essere costretta a pagare se c’è stata una carenza. Spero che il decreto contenga un uso più deciso della tecnologia e dell’intelligenza artificiale, che devono andare in aiuto della sicurezza sul lavoro. Sul tema fin dal 2018 abbiamo fatto proposte”.
Crede che i discorsi di Mattarella possano spingere il governo ad affrontare per davvero il tema della prevenzione?
“Se si ascoltano bene i suoi discorsi, il capo dello Stato punta molto sulla prevenzione. Non so se sono stati i suoi moniti, ma è uno dei suoi punti di intervento. Quello, invece, che non ritengo sia efficace è fare delle dichiarazioni all’indomani di una morte e non porsi il problema pratico di come evitarla. A un certo punto il sistema ha dato un segnale di rottura, perché continuare a dire che aumentano i morti perché aumenta l’occupazione non ha senso. E mi auguro che arrivi un decreto per valorizzare gli approcci pratici e l’impegno delle funzioni pubbliche”.
In vista del decreto, cosa bisogna davvero fare? Quali interventi servono?
“Mirare a interventi per distretti industriali, per questo bisogna fare in modo che le competenze tecniche pubbliche coinvolte (Inail, Asl, Regioni), possano indicare settore per settore gli strumenti concreti. In alcuni casi bisogna cercare un modo di lavorare diverso, come per aiutare i lavoratori nelle mansioni più pesanti. Io sento dire che bisogna formare, ma la formazione va fatta sul luogo di lavoro e non solo in aula, in maniera più operativa. L’approccio deve cambiare e non deve essere solo un adempimento. Bisogna andare sui luoghi di lavoro e incidere sul modo di lavorare”.
Riguardo alla sicurezza sul lavoro, la situazione sta migliorando o no?
“Con la frammentazione dei rapporti di lavoro, si frammentano anche le tutele. La poca stabilità del rapporto di lavoro porta con sé una scarsa possibilità per il lavoratore di chiedere sicurezza. Ci sono molte morti violente e sembra impossibile in un’epoca moderna, in cui ci riteniamo più sicuri con la tecnologia disponibile. C’è una sorta di dissociazione e un’arretratezza del modo di lavorare rispetto al progresso tecnologico raggiunto. A che serve la tecnologia se non migliora le condizioni di lavoro? Con quella attuale non possiamo permetterci lo stesso numero di morti del passato”.