Altro che “Piano Mattei”, altro che cooperazione “tra pari”: per l’Italia l’Africa resta quella dei barconi, dei conflitti, della povertà. Lo conferma, dati alla mano, il dossier L’Africa Mediata 2025 pubblicato da Amref con l’Osservatorio di Pavia, che demolisce ogni narrazione propagandistica sul presunto cambio di paradigma nei rapporti tra Italia e continente africano.
Nel 2024, i quotidiani italiani hanno pubblicato in media solo otto notizie al mese sull’Africa: la metà rispetto al 2023. E di queste, oltre il 77% riguarda l’“Africa qui”, ovvero migranti, cronaca nera, accordi bilaterali – con l’immigrazione come tema dominante nel 60% dei titoli. L’Africa raccontata da lontano, l’“Africa là”, scompare dietro un velo d’indifferenza, o riappare solo quando a morire è un turista italiano o a intervenire è la diplomazia nostrana.
Una rappresentazione tossica
Il racconto mediatico italiano sull’Africa è schiacciato su uno schema monotono e riduttivo: carestie, guerre, terrorismo, migrazioni. Lo dimostra anche il dato impressionante raccolto da Ipsos per Amref: alla domanda “quali parole associ all’Africa?”, il 67% degli italiani risponde “povertà, malattie, immigrazione”. Niente cultura, arte, imprenditorialità, futuro. Un continente intero raccontato per sottrazione.
La televisione non fa meglio. Nei programmi d’informazione e infotainment, le voci africane sono l’1,2% degli ospiti. Quasi mai come esperti. Quasi mai come protagonisti. Al massimo come oggetti del discorso: “gente comune” chiamata a commentare episodi di degrado o cronaca, spesso nemmeno identificata per cognome. E quando si parla di donne africane, il 32% delle volte è per trattare la “condizione femminile nell’Islam” e il 16% per parlare di infibulazione. Due temi reali, ma proposti come unico orizzonte possibile.
I confini mentali del colonialismo
Come ha scritto Maaza Mengiste, “i confini danneggiano coloro che sono destinati ad essere visti e danneggiano coloro che dovrebbero vedere”. E i confini della rappresentazione dell’Africa nei media italiani sono ancora quelli tracciati da una lunga storia di paternalismo coloniale. L’Africa è evocata come minaccia da gestire o come spazio di conquista umanitaria: mai come interlocutore.
Il Piano Mattei, sbandierato dal governo Meloni come chiave per rilanciare le relazioni euro-africane, nei notiziari italiani viene incorniciato quasi esclusivamente nel frame securitario: accordi per fermare i flussi, per contenere, per controllare. Manca del tutto un dibattito sul reale impatto nei Paesi africani, sulle voci dei partner locali, sul rischio di alimentare nuove dipendenze invece che sostenere vere autonomie.
Una domanda di cambiamento ignorata
Eppure, qualcosa si muove. L’indagine Ipsos mostra che l’82% degli italiani – l’88% nella Gen Z – desidera un racconto più completo e positivo sull’Africa. È una domanda forte, consapevole, ma completamente ignorata dall’attuale sistema informativo. Perché cambiare narrazione significherebbe rinunciare a una comoda funzione: quella dell’Africa come specchio in cui l’Italia riflette le proprie paure, le proprie colpe, i propri calcoli geopolitici.
L’Africa che passa ogni giorno nei media italiani è un fotogramma fermo, una sagoma vuota disegnata con la penna del sospetto e del pregiudizio. L’Italia ha bisogno di una nuova grammatica visiva e narrativa, capace di riconoscere complessità, potenziale, soggettività. Un racconto all’altezza del presente, e non della nostalgia per una dominazione che non ha mai fatto i conti con sé stessa.
Il resto, Piano Mattei incluso, rischia di essere solo retorica con il marchio del Made in Italy.