“Più poveri e lavoratori fragili, ecco i frutti della ricetta Meloni”. Parla l’economista Fassina

Fassina: "Scellerato il decreto di maggio di un anno fa. Siamo tornati indietro nel tempo, alla logica di Renzi”

“Più poveri e lavoratori fragili, ecco i frutti della ricetta Meloni”. Parla l’economista Fassina

La Festa dei lavoratori si avvicina. Lunedì la premier ha convocato i sindacati per alcuni provvedimenti. Il pensiero corre al decreto varato il primo maggio dello scorso anno che ha smantellato il Reddito di cittadinanza e il decreto Dignità. Stefano Fassina, economista, oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, volendo fare un bilancio di un anno, da quel provvedimento a oggi, quale sarebbe?
“Il bilancio è drammaticamente negativo. L’inversione di rotta rispetto a quanto realizzato dai governi Conte I e Conte II è netta. Nella prima parte della scorsa legislatura, fu approvato il ‘Decreto Dignità’ che reintroduceva condizioni stringenti per il contratto a tempo determinato. Smantellato, con conseguente espansione della precarietà. Poi, si approvò il Reddito di Cittadinanza che, almeno in parte, sottraeva lavoratrici e lavoratori al ricatto del lavoro povero. Mutilato, con effetti evidenti sull’allargamento della povertà e sulle retribuzioni. Allora, per far fronte agli effetti della pandemia sul livello di occupazione, si bloccarono i licenziamenti e si estese la possibilità di utilizzare la Cassa integrazione, primo e sostanzialmente unico caso nell’Ue, seguito soltanto dal Governo Sanchez. Inoltre, grazie alle pressioni sindacali, nell’edilizia, si introduceva il requisito del Contratto collettivo nazionale di lavoro per le aziende che prendevano lavori agevolati sul piano fiscale. Ora, si combatte contro la catena dei subappalti, cara al ministro Salvini. Infine, va ricordato l’aggiramento della proposta delle opposizioni e di un ampio fronte di sindacati per il salario minimo legale. Insomma, siamo tornati indietro, alla logica del Jobs Act, dove si preme sulle condizioni del lavoro per una competitività giocata sui costi”.

Aumentano i contratti a tempo indeterminato ma anche quelli a termine da più di 5 anni.
“Sono le conseguenze dirette della linea perseguita dal Governo. L’occupazione è precaria e poco pagata. I dati apparentemente positivi sugli occupati, in relazione al Pil, lo dimostrano. A fronte di un aumento dei valori assoluti, calano le ore lavorate e la produttività del lavoro”.

Sarebbe favorevole alla riduzione dell’orario di lavoro?
“Assolutamente si. È la variabile strategica di politica economica da portare avanti. È necessario procedere attraverso una fase sperimentale, per accompagnare con interventi legislativi con accordi innovativi, già in corso in alcuni ambiti”.

Domenica sarà la giornata mondiale della sicurezza sul lavoro, poi ci aspetta il Primo maggio in cui il tema delle morti bianche ritornerà prepotente. Quali le cause di questa strage infinita?
“I numeri sono drammatici. È una strage quotidiana. Ma non vanno definiti incidenti. Le cause sono molteplici. I controlli sono essenziali. Il numero degli ispettori è da tempo inadeguato. Ma pesa il fattore precarietà: come si può investire, sia da parte dell’impresa, sia da parte del lavoratore, in formazione per la sicurezza quando domina la precarietà? Inoltre, i subappalti a pioggia per ridurre il costo del lavoro, portano alle difficoltà dei controlli e alla carenza di formazione”.

A suo parere il governo sta mettendo in campo strumenti validi per provare a fermare questa mattanza?
“Come ha scritto Bruno Giordano, magistrato del lavoro e ex Presidente dell’Ispettorato Nazionale per il Lavoro, la Ministra del Lavoro dovrebbe emanare la ventina di Decreti Ministeriali sulla sicurezza previsti dal 2008 ed evitare, ad ogni morte di lavoro, nuovi annunci su ‘immediati interventi normativi’. La patente a punti è una foglia di fico. La vita di un operaio dell’edilizia vale 20 punti che però si scalano dopo una sentenza definitiva di condanna. Inoltre, devono ancora essere riordinati sul versante normativo e organizzativo i 12 enti preposti alla vigilanza. Non si ha notizia di iniziative in merito. Infine, ma non ultimo, incombe sulla sicurezza sul lavoro anche l’attuazione dell’Autonomia differenziata. Verrebbero affidati alle Regioni, in un pericoloso quadro di dumping regolativo, diritti fondamentali. In tale contesto politico, il mantra della ‘cultura della sicurezza’ è insopportabile”.