Pnrr, Fortuna: “I fondi Ue vanno spesi tutti. C’è in gioco il futuro del Paese”

Per l'economista Fabio Fortuna è necessario che maggioranza e opposizione collaborino ed è indispensabile un'interlocuzione positiva con Bruxelles.

Pnrr, Fortuna: “I fondi Ue vanno spesi tutti. C’è in gioco il futuro del Paese”

Professore Fabio Fortuna, economista, crede che dobbiamo spendere tutti i soldi del Pnrr? E corriamo davvero il rischio di non riuscire a farlo?
“Si perché perderemmo un’occasione storica e confido nell’interlocuzione positiva con la Commissione europea da realizzare senza stravolgimenti ma con revisioni e sistemazioni anche grazie alla costruttiva collaborazione che, nell’interesse del Paese, dovrebbe svilupparsi tra maggioranza e opposizione. Mi sembra che segnali ci siano già stati in questo senso. Una volta tanto bisogna mettere da parte le contrapposizioni politiche e cercare delle soluzioni; sono ottimista sul fatto che queste ultime si possano trovare con degli aggiustamenti e che le importanti risorse del Pnrr debbano essere impiegate proficuamente attraverso la combinazione di progetti e tempestive attuazioni nel contesto di processi di riforme indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi previsti”.

Eppure l’Italia sconta una cronica difficoltà a utilizzare i fondi che arrivano dall’Europa …
“Vero, l’Italia ha dimostrato nel corso del tempo di avere difficoltà a impiegare le risorse che derivano dai fondi europei. Questo è spiegabile con una serie di motivazioni che in parte sono riconducibili a difficoltà nell’elaborazione di progetti convincenti ai fini dell’approvazione in sede europea oppure addirittura alla mancata presentazione dei progetti stessi per eccessi di burocratizzazione”.

La Commissione Ue ha presentato il piano di riforma del Patto di stabilità. Debito/Pil sotto al 60% e deficit/Pil non oltre il 3%. L’Italia avrebbe voluto che non fossero considerati nel debito pubblico i debiti per spese legate alla transizione ecologica, come andrà a finire?
“Mi sembra che questa sia una prima versione da parte dell’Europa, non una decisione definitiva. Ma un orientamento maturato soprattutto sulla scia delle preoccupazioni della Germania. Perché i problemi dell’Italia sono quelli della Francia. Io credo che per quanto riguarda il nostro Paese il problema maggiore rimanga il debito. Il Def ci ha confermato una tendenza alla diminuzione del rapporto debito pubblico-Pil ma lieve: dal 142,1 del 2023 si passa al 140,4 nel 2026. Molto lontani siamo dal 60%. Mi sembra troppo rigido l’atteggiamento europeo. Un po’ di elasticità, una riparametrazione credo sarebbe opportuna per favorire la crescita necessaria in tutti i paesi. La proposta italiana rimane sensata e ragionevole, speriamo possa essere riconsiderata”.

Nel Def il governo ha scelto sui conti la prudenza…
“Il Def è nella linea della prudenza per evitare ostacoli in Europa e quindi con criteri finalizzati all’approvazione nell’ambito europeo. Tra l’altro, a proposito dei parametri lo sfasamento grosso è quello, ripeto, del rapporto debito pubblico-Pil, perché il deficit-Pil nel 2026 dovrebbe rientrare al 2,5%. Si è fatto quel che si poteva fare. Poi vedremo se con la Nadef si potrà avere una situazione migliore. Credo che i ritmi di crescita saranno superiori rispetto a quelli indicati dal Def e si potrà andare oltre l’incremento dello 0,9-1% previsto per il Pil 2023”.

Quali sono le ragioni dell’inverno demografico dell’Italia?
“Il fenomeno della denatalità è piuttosto preoccupante. Abbiamo toccato le 393mila unità. E si è sviluppato per una serie di motivazioni. Prima fra tutte quella di carattere economico. Molti che hanno desiderio di avere dei figli si trovano di fronte a difficoltà in termini di spesa che non possono affrontare. Ma si profilano all’orizzonte progetti per incentivare le nascite attraverso aiuti economici. Ovviamente questi interventi devono essere compatibili con le risorse a disposizione. Ci sono poi motivi sociali a spiegare il gelo demografico. Per quanto riguarda le donne la difficoltà di conciliare l’attività lavorativa col desiderio di esser mamme ha fatto slittare l’età in cui si fanno o si decide di fare figli. E poi anche da parte degli uomini probabilmente c’è stata una disaffezione all’idea di procreare”.

Il potere d’acquisto è calato nell’ultimo trimestre dello scorso anno del 3,7% mentre il carovita galoppa e le persone risparmiano anche sulle spese alimentari. C’è un’emergenza salariale?
“Noi abbiamo avuto un’inflazione che non era prevista nella misura in cui si è sviluppata. Dall’autunno è cresciuta a livelli molto elevati che hanno colpito le fasce più fragili toccando quasi il 12%. Poi è diminuita e in base ai dati Istat di marzo la situazione è migliorata (+7,6% il dato annuale ma il carrello della spesa è al +12,6%). Il potere d’acquisto è diminuito per l’impossibilità di adeguare salari e stipendi per lasciarlo inalterato o poco ridimensionato; si cerca di intervenire con la riduzione del cuneo fiscale che però è insufficiente. È necessario che l’inflazione si attenui soprattutto sui beni alimentari e quelli relativi alla cura della casa e della persona e che si evitino fenomeni speculativi. La situazione dell’inflazione deve migliorare. E credo che questo avverrà nei prossimi mesi. Certo l’obiettivo del 2% non lo raggiungeremo prima del 2026”.

Secondo lei quanto può durare la stretta monetaria?
“Le banche centrali si sono mosse con lo strumento di politica monetaria che avevano a disposizione, cioè il rialzo dei tassi. È stata una scelta dolorosa ma necessaria. Ora dev’esserci un rallentamento graduale dei tassi ed entro il 2023 dovrebbero cessare gli aumenti e magari nell’ultimo trimestre iniziare la diminuzione. Negli Stati Uniti, peraltro, il lavoro della Fed ha visto risultati maggiori, in Europa minori. Ma da qui a dimostrare che gli interventi delle banche centrali siano stati inopportuni o inutili ce ne passa”.

Come valuta la postura del governo in Europa? Dai balneari al green deal col no alla direttiva sulle case green e il no allo stop ai motori a benzina e diesel dal 2035?
“Il governo si è mosso come doveva in Europa. Ci sono stati motivi di contrasto ma è stato giusto segnalare che non si era d’accordo; purtroppo i risultati, vedi il caso delle auto, non mi pare ci siano stati. La transizione costa, ovviamente bisogna farla. È uno dei temi del Pnrr, è necessaria sia nell’interesse delle imprese che delle famiglie. Il problema però è che realizzarla in un arco di anni come quello preventivato mi sembra difficile. Sarebbe stata più opportuna maggiore gradualità per tutelare le imprese produttrici ma anche le famiglie e chissà forse i tempi si allungheranno”.

 

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