Poche sorprese

di Gaetano Pedullà

Che Paese al rovescio che siamo. Stai al timone delle Ferrovie dello Stato per otto anni, e per otto anni ti prendi tutti i giorni le maledizioni di milioni di pendolari costretti a viaggiare in condizioni da terzo mondo. Poi fai un casino perché il governo vuole abbassare gli stipendi milionari dei dirigenti pubblici e minacci persino di lasciare l’azienda se mai Palazzo Chigi si sognasse di tagliarti lo stipendio. Arriva il giro di nomine al comando delle grandi aziende partecipate dallo Stato e cosa succede? Ti promuovono dalle Ferrovie a Finmeccanica. Questa la storia di Mauro Moretti, il sindacalista diventato capo dei treni italiani e da oggi nuovo amministratore delegato di Finmeccanica. Fino a ieri aveva questo gruppo tra i suoi fornitori (con Ansaldo Breda la holding aerospaziale costruisce anche locomotrici e convogli ferroviari). Oggi dovrà vendere questi treni alle ferrovie da cui è appena uscito. Siamo l’Italia dei soliti noti, dove a milioni di giovani non è data una sola chance per mettersi alla prova e tra centinaia di bravi manager nelle giostre che contano staccano il biglietto sempre gli stessi nomi. Gente che si cambia la casacca, che passa da una poltrona all’altra, indipendentemente dai risultati. A meno che non ci sia da qualche parte qualcuno soddisfatto per l’esito dell’Agenda digitale, il grande piano affidato dall’ex premier Enrico Letta a Francesco Caio (neo Ad di Poste). E pazienza se ad oggi 34 italiani su cento non hanno mai navigato su internet e collegarsi in rete è una specie di miracolo anche nelle grandi città.

In compenso abbiamo due donne in cima ad Eni, Enel e Poste. Un bel segnale, ma anche qui scelte che sanno di consorteria, di gratificazione di poteri forti più che di scelta orientata sul merito. Emma Marcegaglia, ex presidente della Confindustria, a capo di un gruppo industriale che ha fatto affari con l’Eni, è rimasta invischiata in una storia di tasse non pagate (parliamo di milioni di euro) poi chiusa con un patteggiamento. Promossa. Alle Poste, dove l’urgenza adesso è quella di quotare in tempi strettissimi il gruppo, arriva invece Luisa Todini, certo non un esperta di finanza, consigliere adesso uscente della Rai (in quota Forza Italia) ma soprattutto ereditiera di un solidissimo gruppo di costruzioni che sotto la sua gestione è diventato via via meno solido e poi è stato venduto alla Salini – Impregilo. Operazione dietro la quale negli ambienti finanziari si è sussurrato parecchio vi fosse stata una spinta dell’ex premier Berlusconi, per il quale la Todini stessa è stata eurodeputata dal 1994 al 1999. Viene invece dalla Fiat e dall’Olivetti Patrizia Grieco, la nuova presidente dell’Enel. Tre donne che possono fare gioire fino a un certo punto chi le immagina come portabandiera di un riscatto rosa nella grande industria nazionale. I presidenti delle società quotate hanno infatti tradizionalmente poche deleghe e pochissimo potere. Da adesso avranno anche uno stipendio che il Tesoro chiede alle assemblee delle aziende di tenere entro il tetto dei 238 mila euro l’anno. Chi invece continuerà a incassare stipendi milionari sono gli amministratori delegati, tutti uomini, tra cui Moretti. Di fronte alle sue proteste sull’ipotesi di una sforbiciata all’emolumento, il premier Renzi gli aveva risposto di pazientare. Adesso capiamo perché.