di Raffaella Salato
L’esercito italiano è povero e mal equipaggiato. E sui nostri soldati incombe il blocco degli stipendi e la questione previdenziale della riforma Fornero. Anche i militari non se la passano bene con la paga, davvero da fame. Un comparto che, invece, dovrebbe essere motivato e giustamente gratificato. In ballo c’è la nostra sicurezza.
Paga ridotta all’osso
Lo stipendio base di un volontario – così come di un poliziotto in servizio alle volanti – è di appena 1.300 euro mensili: una cifra ferma al 2010, e in odore di proroga anche per tutto il 2014. Davvero misera cosa, se si considera che l’Esercito italiano annovera tra le sua file risorse di alto livello qualitativo: in primo luogo, perché attualmente ben l’85% dei nostri soldati possiede almeno un diploma di scuola media superiore (dato che ci pone ai primi posti sul piano internazionale); inoltre, perché l’investimento in formazione e addestramento non ha pari in nessun altro corpo o forza analoghi. Basti pensare che un militare dell’Esercito, oltre che partecipare a operazioni di guerra o per la pace all’estero, interviene a supporto della Protezione Civile in caso di calamità naturali e concorre di frequente alla sicurezza interna dello Stato: per fare solo un esempio, in un anno si sono contati oltre 1.500 interventi dei nuclei di bonifica dell’Arma sui residuati bellici presenti in territorio italiano.
E’ una situazione tristemente reiterata quella degli stipendi da fame per coloro che rischiano la vita per il Paese. Si potrebbe pensare, tuttavia, che almeno le promozioni al livello dirigenziale fruttino qualcosa ai militari che arrivano a guadagnarsele, ma purtroppo non è così: un Tenente Colonnello che diventi Colonnello (1° livello della dirigenza) arrivando a comandare un reggimento, ossia dai 600 ai 1.000 uomini, non percepisce, ad oggi, un euro di più di quanto intascava prima.
Paradossalmente, anzi, i suoi sottoposti possono arrivare a guadagnare persino più di lui, grazie agli scatti maturati di anzianità.
La riforma Fornero
E che dire, poi, delle conseguenze del “provvedimento Fornero”? Secondo il Cocer Esercito, presieduto dal Gen. D. Paolo Gerometta, le norme in esso contenute confliggono operativamente con gli esiti della Revisione dello Strumento Militare che ha imposto la riduzione del personale della Forza Armata da 190.000 a 150.000 unità (in particolare, è previsto un decremento a 170.000 uomini entro il 2016 ed il restante entro il 2024). Infatti, per operare tale drastica riduzione, è necessario che il numero di coloro che fuoriescono sia maggiore di quelli che entrano a farvi parte, ma tale principio non si accorda con l’innalzamento dell’età pensionabile, che peraltro rende in media i nostri soldati sempre più “anziani”. Va da sé che, a meno di non voler mettere il personale in mobilità, il “modello Fornero” non si adatta granché alla categoria dei militari.
Il tavolo politico
Su questi punti “caldi” le rappresentanze dell’Esercito hanno tentato, e tenteranno ancora, di sensibilizzare le parti politiche, al fine di salvaguardare quella “specificità” funzionale dei militari che non può in alcun modo essere ignorata da coloro che ci governano, i quali – come accade giustappunto per i soldati, ma forse soltanto per loro – dovrebbero costantemente operare, con la diligenza del pater familias, al costante e totale servizio del bene del Paese.
E’ di martedì scorso l’audizione del Cocer interforze (Consiglio Centrale di Rappresentanza dei Militari) presso le Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro (I e XI) della Camera sulla questione del blocco stipendiale, e ieri c’è stato un nuovo incontro per discutere dell’impatto della “riforma Fornero” sull’organizzazione del comparto militare. Le Forze Armate fanno sentire la propria voce in ambito politico, dunque.
Al netto della spendig review restano militari sottopagati in patria e sovraimpeganti all’estero. Aspettando il ritorno a casa dei marò La Torre e Girone.