Politica e toghe

Questa volta non vogliono finire come nel ’93, quando la politica si arrese senza condizioni alle Procure scatenate da Tangentopoli. E mentre l’Italia delle mazzette si unisce da nord a sud, dall’Expo di Milano al Mose di Venezia alla Guardia di Finanza di Napoli (con voci, negli ambienti giudiziari, di una grossa operazione che bolle in pentola pure a Roma) ieri la Camera ha mandato due avvertimenti. Uno ai magistrati e l’altro a Renzi. Il Governo è finito sotto sull’unica riforma che può far male ai giudici (e malissimo a quelli incapaci o in mala fede) ed è rispuntata la vecchia questione della responsabilità civile delle toghe. La materia è antica, e sull’argomento gli italiani hanno già approvato un referendum dei radicali che mette tutti i cittadini sullo stesso piano. Non si capisce perché, diversamente, se un chirurgo sbaglia un intervento o un giornalista scrive fesserie deve pagare, ma se un magistrato si dimentica una notifica e fa uscire un mafioso di galera, allora non paga nessuno. Di sicuro il nuovo scontro tra poteri – il legislativo e il giudiziario – rischia di incanalarsi in un pendio pericoloso. Altrettanto serio è però il pizzino spedito al premier. Sulla carta, a Montecitorio l’Esecutivo può contare su una maggioranza fortissima. Nei fatti, invece, ieri sono tornati i franchi tiratori, anche nello stesso partito del Presidente del Consiglio. Il consenso nel Paese e la vittoria alla amministrative sono una cosa, governare con una coalizione Brancaleone e l’opposizione interna al Pd è tutta un’altra storia. Renzi, è chiaro, continua a dire di non voler rischiare. Ma nulla gli farebbe bene come tornare alle urne. A lui e all’Italia.