A sette anni dal crollo del Ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 costò la vita a 43 persone, la Procura di Genova ha chiesto la condanna a 18 anni e sei mesi per l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci. È la pena più alta tra le richieste formulate nel processo che vede imputate 57 persone tra ex dirigenti di Aspi e Spea, la società di ispezione del gruppo, oltre a funzionari del Ministero delle Infrastrutture.
Il pubblico ministero Walter Cotugno, titolare dell’inchiesta insieme a Marco Airoldi, ha parlato di un’«enciclopedia di responsabilità» a carico dell’ex manager. Secondo la ricostruzione della Procura, Castellucci sapeva dal 2009 delle condizioni critiche del viadotto sul Polcevera ma scelse di rinviare gli interventi, seguendo una logica di risparmio e profitto. «Si è comportato così – ha detto Cotugno in aula – per prestigio, benefit personali, carriera. Gestiva Autostrade come la sua gallina dalle uova d’oro».
Le parole dei pm
La requisitoria, chiusa oggi dopo quattro mesi di udienze, ha ricostruito un sistema in cui la manutenzione della rete veniva sistematicamente sacrificata per aumentare i dividendi. «Per vent’anni – ha aggiunto Cotugno – Castellucci ha compiuto scelte sistematicamente a sfavore della sicurezza. È il massimo esempio di dolo eventuale». La procura ha chiesto l’assoluzione per l’imputazione di attentato alla sicurezza dei trasporti, ritenendo tuttavia gravissimi i capi d’accusa per omicidio colposo plurimo e disastro colposo.
Tra le altre richieste, i pm hanno chiesto 17 anni per l’ex direttore delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli, 16 per l’ex dirigente Paolo Berti e pene tra 7 e 12 anni per vari funzionari e tecnici coinvolti, a seconda dei ruoli e delle responsabilità.
Durante l’arringa, il pm ha evocato il clima interno ad Autostrade, definendo Castellucci «come un innominabile lord Voldemort»: un capo di cui non si poteva nemmeno scrivere il nome, tanto era forte la sua influenza. L’accusa ha ricordato anche la continuità gestionale dopo la strage dell’autobus di Avellino del 2013, in cui morirono 40 persone: «Neppure allora cambiò nulla», ha detto Cotugno.
Le reazioni delle vittime
Per Egle Possetti, presidente del Comitato Ricordo Vittime del Ponte Morandi, la richiesta è «un passo fondamentale». «La pena elevata è importante – ha dichiarato – perché riconosce la gravità delle responsabilità. Sappiamo che, data l’età dell’imputato, potrà beneficiare di misure alternative, ma l’essenziale è che ci sia una condanna». Possetti ha aggiunto che «la cecità di fronte ai rischi del ponte era perfettamente nota, e oggi questo è stato finalmente riconosciuto in aula».
Le società Aspi e Spea, uscite dal processo dopo il patteggiamento, hanno versato complessivamente 29 milioni di euro, risarcendo la quasi totalità dei familiari delle vittime e contribuendo alla costruzione del nuovo viadotto.
La difesa
Dura la replica dei legali di Castellucci, gli avvocati Guido Carlo Alleva e Giovanni Accinni, che hanno definito la richiesta «spaventosa e inaccettabile». Secondo la difesa, i pm avrebbero oltrepassato i limiti del processo penale, entrando in valutazioni «sulla personalità e sulla vita privata» dell’imputato. «È un procedimento – ha detto Alleva – in cui l’ingegnere Castellucci si trova già in una condizione di minorata difesa, detenuto nel carcere di Opera dopo la condanna definitiva per la strage di Avellino. Quelle espressioni sul suo conto non appartengono a un processo penale civile e razionale».
Il processo e le prossime tappe
Il procedimento, aperto nel 2022, è uno dei più vasti mai celebrati in Italia per disastro infrastrutturale. Le udienze proseguiranno nelle prossime settimane per gli altri 56 imputati. Secondo l’accusa, il crollo del viadotto Polcevera non fu una fatalità ma l’esito di un sistema di omissioni diffuse in cui Aspi, Spea e il ministero avrebbero dovuto vigilare e non lo fecero.
L’obiettivo è arrivare a sentenza entro l’estate 2026. Intanto, la richiesta di 18 anni e sei mesi per Castellucci – la massima prevista dal codice – resta un segnale: la prima volta in cui la giustizia italiana tenta di fissare una responsabilità penale individuale per una tragedia che ha segnato la storia del Paese.