Nonostante il governo, forte di una maggioranza parlamentare litigiosa ma granitica, abbia potuto dettare legge (è il caso di dirlo) per tutto il 2025, su due questioni ha inesorabilmente e inequivocabilmente toppato: Ponte sullo stretto di Messina e i due centri per migranti in Albania.
Il Ponte, un fallimento targato Salvini
Il primo grande fallimento – quello dell’opera faraonica – ha un nome e un cognome: Matteo Salvini. Nonostante il vice-premier e ministro per le Infrastrutture abbia più volte annunciato l’avvio dei cantieri, l’opera non ha mai visto muoversi neanche un sasso per un insieme di problemi tecnici, ambientali, procedurali ed economici.
Il Ponte, ancora privo di un progetto definitivo e dai costi non quantificati né quantificabili allo stato, sconta infatti conclamate carenze progettuali e rischi ambientali, come messo nero su bianco dalla Corte dei Conti.
Nella loro relazione del novembre scorso, i giudici hanno riscontrato gravi criticità ambientali, tecniche e procedurali, evidenziando la violazione di direttive europee su ambiente e appalti, la mancanza del parere obbligatorio dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) sui tariffari e documentazione insufficiente o errata sulla stima dei costi e sull’impatto ambientale.
Morale: niente finanziamento pubblico. L’ultima sberla Matteo l’ha presa dal fidato ministro Giancarlo Giorgetti che ha definanziato l’opera, spostando 780 milioni di euro previsti per il 2026 al 2033.
Meloni e l’incubo albanese da 670 milioni di euro
Giorgia Meloni ha invece la paternità del fallimento albanese. Era stata infatti la premier a sottoscrivere nel 2023 l’accordo con l’Albania per le due strutture, che, nonostante una spesa già verificata di circa 670 milioni di euro (ma che a regime potrebbe sfondare il miliardo di euro), non sono praticamente mai entrate in funzione.
A costringere i centri di Shëngjin e Gjadër all’inutilità le pesantissime bocciature ricevute sia dalla Corte di Giustizia Europea sia dai magistrati italiani, i quali hanno annullato i trattenimenti dei richiedenti asilo, dichiarando i Paesi di origine dei migranti “non sicuri”.
Oggi la premier, che sulla questione albanese aveva attaccato pesantemente la magistratura, spera nel ridisegno degli accordi comunitari e in un allineamento dell’Ue sulle posizioni italiane. Nel frattempo, i due centri sono diventati strutture di detenzione extraterritoriale (Cpr), la cui legittimità è tuttavia ampiamente messa in discussione.