Oggi Matteo Salvini promette che i cantieri del Ponte sullo Stretto partiranno «a ottobre». È l’ennesima scadenza di un calendario che negli ultimi due anni ha sbandato più volte. Eppure l’atto necessario non c’è: la delibera del Cipess che autorizza la spesa da 13,5 miliardi non è stata perfezionata né inviata alla Corte dei conti per la registrazione e la pubblicazione ufficiale. Senza quella firma si resta ai rendering. Lo attesta la risposta ufficiale del Cipess, che parla di provvedimento «tutt’oggi in corso di perfezionamento».
Il dettaglio non è burocratico. Anche volendo, «ottobre» significherebbe al massimo lavori propedeutici, perché il progetto esecutivo del collegamento e delle opere connesse deve ancora recepire 62 prescrizioni della Commissione Via del ministero dell’Ambiente. E i magistrati contabili, quando riceveranno gli atti, hanno trenta giorni per la registrazione, prorogabili con motivazione. È il contrario del «si parte».
Le promesse mancate
Dall’inizio della legislatura le date promesse da Salvini si sono accumulate. La prima era l’estate 2024, ribadita in tv e comizi. Poi lo spostamento «entro la fine del 2024». All’alba dell’anno successivo il traguardo diventa «inizio 2025», riformulato in «primavera 2025». Nei mesi seguenti entra in scena «estate 2025». Oggi la bandierina è piantata su ottobre. Cinque finestre temporali rinviate, più quella di oggi. È la fotografia di una corsa agli annunci più che agli atti: senza delibera Cipess registrata e senza progetto esecutivo approvato, l’avvio dei lavori resta una promessa politica in cerca di documenti.
Il contesto finanziario aumenta i dubbi. Nel 2010, quando la gara fu aggiudicata al consorzio Eurolink, una parte del rischio doveva restare ai privati con la leva dei pedaggi. Oggi, per scelta del governo, l’onere è interamente sul bilancio pubblico. Non solo: la cifra di 13,5 miliardi è stata fissata nel 2023 per legge e non tramite una validazione tecnica terza. È un passaggio che pesa, anche perché la Corte dei conti dovrà verificare coerenza e coperture, e perché l’iter Cipess, come detto, non è concluso. Lo ricorda la ricostruzione allegata alla risposta del Cipess.
I numeri ballerini dei posti di lavoro
Alla giostra delle date si è aggiunta quella dei numeri. In pochi mesi Salvini ha parlato di «mal contati 50 mila» posti, poi di «120 mila», quindi di «oltre 100 mila unità tra diretti e indiretti». Ma i «120 mila» non sono persone assunte: sono Unità lavorative annue (ULA), l’equivalente in anni-uomo lungo l’intero ciclo dell’opera, che somma occupazione diretta, indiretta e indotta. Tradotto: non 120 mila contratti, ma la somma di periodi di lavoro che, spalmati nel tempo, generano quell’ammontare teorico. Le stesse carte societarie indicano per il cantiere un fabbisogno medio di poche migliaia di addetti l’anno, con un picco nei momenti di maggiore attività: molto meno impressionante dell’enfasi propagandistica. È il motivo per cui gli osservatori distinguono tra ULA e posti effettivi, ricordando che il saldo occupazionale stabile dipende da tempi, subappalti, turnazioni e durata reale delle lavorazioni.
Oggi, mentre il ministro ripete «ottobre», il quadro resta invariato: delibera assente, progetto esecutivo da chiudere, numeri occupazionali raccontati come posti quando sono ULA, coperture interamente pubbliche fissate per legge. Il ponte più annunciato della politica italiana rimane fermo alle carte. Se davvero si vuole cominciare, la prima cosa da posare non è una pietra ma gli atti: completi, trasparenti, verificabili. Fino ad allora le promesse restano promesse e l’autunno, come le stagioni precedenti, rischia di essere un’altra data scritta a penna rossa sull’agenda e poi cancellata alla prima verifica.