Povertà, in Italia è ereditaria: i figli di genitori meno agiati hanno più possibilità di trovare l’ascensore sociale bloccato

Uno studio certifica che nella fascia 24-35 anni solo il 13% di chi ha genitori con licenza media arriva alla laurea

Povertà, in Italia è ereditaria: i figli di genitori meno agiati hanno più possibilità di trovare l’ascensore sociale bloccato

Secondo un’analisi dettagliata condotta da Lorenzo Ruffino sui dati di uno studio dell’Università di Oxford, pubblicato su Research in Social Stratification and Mobility, l’Italia è tra i Paesi europei in cui la povertà si eredita con maggiore intensità. A chi nasce povero in Italia non basta l’impegno, non bastano gli studi, e spesso nemmeno un lavoro: ha il 15% di probabilità in più di restare in condizioni di povertà da adulto rispetto a chi cresce in una famiglia agiata. È uno dei dati peggiori in Europa, superiore persino a Paesi dell’Est come la Polonia o la Slovenia.

L’ascensore sociale è rotto

L’effetto della povertà familiare, in Italia, è oltre otto volte più forte che in Francia e più del doppio rispetto alla Germania. Nei Paesi scandinavi, invece, l’impatto delle origini familiari è pressoché nullo. In Danimarca o Svezia può perfino accadere che chi nasce in condizioni difficili, grazie all’istruzione e al welfare, migliori le proprie condizioni economiche più dei coetanei benestanti. In Italia questo meccanismo si è inceppato. La povertà non solo è ampia, ma si è irrigidita. E non basta crescere per scrollarsela di dosso.

Istruzione e lavoro: i due colli di bottiglia

Lo studio analizzato da Ruffino identifica due elementi che spiegano circa due terzi della trasmissione intergenerazionale della povertà: il livello di istruzione raggiunto e la posizione occupazionale. In Italia, chi nasce in una famiglia svantaggiata tende ad avere una formazione più bassa e un accesso più difficile al mercato del lavoro qualificato.

E i dati Istat lo confermano: tra i giovani di 25-34 anni, ha un titolo universitario il 67% di chi ha almeno un genitore laureato, il 40% di chi ha genitori diplomati e appena il 13% se i genitori hanno al massimo la terza media. L’abbandono scolastico segue la stessa linea: solo il 2% nei figli dei laureati, ma il 24% nei figli di genitori con bassa scolarizzazione.

L’istruzione, insomma, resta un canale privilegiato per cercare di uscire dalla povertà, ma non basta. Perché anche tra chi studia, il peso delle origini continua a farsi sentire. Il rischio è che l’ascensore sociale funzioni solo per chi già parte dal piano rialzato.

Non solo soldi: la povertà è anche culturale, sociale, simbolica

L’Italia, come spiegato nell’articolo di Ruffino, non paga solo il prezzo di un welfare debole o di una crescita economica insufficiente. A pesare è l’intero assetto del sistema: i servizi educativi, la qualità della scuola, la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, l’accesso alle reti sociali e informative. Chi nasce povero ha meno strumenti, meno contatti, meno fiducia nelle proprie possibilità. Ha davanti un orizzonte più basso. E viene giudicato, valutato, pesato sulla base del suo punto di partenza.

Povertà ereditaria: la conferma di un’Italia “high static“

Lo studio dell’Università di Oxford, attraverso i dati dello European Union Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC), colloca l’Italia tra i Paesi “high static”: quelli in cui la povertà era alta nella generazione precedente e continua ad esserlo oggi. E non perché manchi la crescita economica tout court, ma perché mancano le politiche capaci di renderla redistributiva.

Non è la spesa pubblica in sé a fare la differenza, ma come viene usata. I sussidi a pioggia, gli incentivi regressivi e la retorica del “chi ce la fa è bravo” hanno dimostrato tutta la loro inefficacia.

La realtà che non compare nei discorsi ufficiali

Mentre i governi italiani – di qualsiasi colore – continuano a ignorare questi dati nei loro bilanci di equità sociale, l’Italia si conferma un Paese dove il destino di un bambino si scrive troppo presto. Lo si dice da anni, lo confermano le statistiche, lo vediamo nella scuola, nel lavoro, nei divari territoriali e di genere. Ma nulla cambia davvero. Perché chi governa continua a guardare la povertà come un accidente individuale e non come un problema strutturale.

Chi nasce povero in Italia ha molte più probabilità di restarlo rispetto a un coetaneo tedesco o francese. Non perché valga meno. Ma perché vive in un Paese che gli chiede di scalare la montagna a mani nude, mentre altri hanno l’imbracatura. E questa è una responsabilità politica, non un destino.