Premierato, M5S-Pd: “Se perde il referendum Meloni deve dimettersi”

Il sottosegretario Alfredo Mantovano assicura che il governo non teme il referendum sul premierato all’italiana.

Premierato, M5S-Pd: “Se perde il referendum Meloni deve dimettersi”

Nel caso che sul premierato all’italiana non si dovesse trovare la maggioranza di due terzi, il governo “non teme il referendum”, ha assicurato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Ma qualora ci si dovesse arrivare e la riforma venisse bocciata, come prevede anche il leader del M5S, Giuseppe Conte, Mantovano è altrettanto chiaro: non avrebbe alcuna ripercussione sulla tenuta dell’Esecutivo. Lo aveva già detto Giorgia Meloni dopo il via libera del Consiglio dei ministri alla riforma, lo ha confermato il sottosegretario di Palazzo Chigi. Ma dal M5S al Pd la richiesta è unanime. Se non passa il referendum, Meloni deve farsi da parte.

Il sottosegretario Mantovano assicura che il governo non teme il referendum sul premierato all’italiana

“Nonostante la Meloni abbia messo le mani avanti, io credo che se andasse al referendum e perdesse dovrebbe necessariamente trarne le conseguenze”, ha ribadito Conte. “Se il governo perde il referendum deve andare a casa”, rilancia Francesco Boccia, presidente dei senatori dem. Intanto Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra annuncia la costituzione di “Comitati in difesa della Costituzione e del Presidente della Repubblica in tutta Italia”. Gli unici tra le opposizioni che continuano a offrirsi come stampella del Governo sono i renziani. “La proposta è un passo in avanti – ha dichiarato il leader di Iv Matteo Renzi – ma molti nodi sono da chiarire. Il tetto ai mandati, il ballottaggio, il superamento del bicameralismo. E naturalmente non capisco perché il premier non possa scegliere e revocare i ministri. Presenteremo in Aula i nostri emendamenti”. Se Iv voterà o meno la riforma “dipende da che testo verrà fuori. Se ho perso Palazzo Chigi è solo perché hanno usato il referendum contro di me. Ai miei avversari di allora non interessava la Costituzione: bastava farmi fuori. E io non farò a Giorgia ciò che Giorgia ha fatto a me”.

Sale il pressing M5S-Pd ma la premier esclude di dimettersi. Unici a tendere la mano a Giorgia sono i renziani

La riforma costituzionale “non è blindata”, ma “le richieste di modifica dovranno essere coerenti” con l’impianto del testo approvato dal Governo, ha detto il ministro per le Riforme, Elisabetta Casellati. Ovvero disponibilità al confronto, ma “senza pregiudizi” e senza che si mettano in discussione i cardini del provvedimento. A cominciare dall’elezione diretta del Capo del Governo. Su questo non si discute. Su altri temi, invece, si vocifera in ambienti del governo, c’è “grande disponibilità all’ascolto” come, ad esempio, su ‘nodi’ come il premio di maggioranza, la soglia di sbarramento, la sfiducia e anche l’eventuale ballottaggio. Molte questioni saranno affrontate nella legge elettorale, alla quale Casellati starebbe già lavorando. Intanto non si contano i giuristi, non solo d’area di centrosinistra, che bocciano il pasticciaccio del premierato.

Come il senatore del partito della premier ed ex presidente del Senato, Marcello Pera. “Qui – ha spiegato – si vuole lasciare ‘intatte’ le prerogative del Presidente della Repubblica, come si dice in modo palesemente insincero. Perché è evidente che se si rafforza la figura del Primo ministro necessariamente si indebolisce quella del Presidente. Il rischio è che si instauri una diarchia istituzionale e politica o un bi-presidenzialismo, fonte di tensioni e attriti”. Inoltre “la sostituzione del Primo Ministro eletto con un altro crea un problema anche riguardo al Parlamento. Se il Primo Ministro cessa, il Parlamento, che pure è eletto assieme a lui, ha il potere di sostituirlo. Perché l’uno cade e il suo gemello no? La formula del simul stabunt simul cadent è forse rigida ma ha una logica, quella del ribaltone rispetto alla volontà popolare non ce l’ha, anche se è scritto nella Costituzione. Un bel pasticcio”.