Perché il premier Giuseppe Conte – e non solo lui – abbia a cuore nella sua Puglia, e anche altrove, un accordo tra le forze politiche che sostengono il governo è fin troppo evidente. Una sconfitta pesante alle regionali per la maggioranza giallorossa non avrebbe solo l’effetto di ridare fiato alle trombe delle opposizioni, ma metterebbe a dura prova l’esecutivo tra recriminazioni, voglie di rimpasto e appetiti personali. Ma se il numero uno del Pd Nicola Zingaretti è, insieme con il presidente del Consiglio e Beppe Grillo, convinto sostenitore della necessità di far fronte comune contro le destre c’è un travaglio tutto interno ai 5S che non si può ignorare. Il Movimento è diviso tra chi vorrebbe sui territori replicare il matrimonio con i dem consumato a livello nazionale e chi, come Luigi Di Maio, non fa mistero della sua contrarietà. Dando argomenti ai retroscenisti che da settimane raccontano di uno scontro tra il ministro degli Esteri e il premier tra voci di governissimo e duello sulla leadership. Eloquente, del resto, la spaccatura sul nome di Ferruccio Sansa, candidato da M5S e Pd in Liguria, sul quale l’ex capo politico dei 5 Stelle ha tenuto a mettere agli atti la sua contrarietà. Il numero uno della Farnesina è contrario a un’intesa organica con i dem e ogni occasione è buona per osteggiarla. Un atteggiamento che, più di qualcuno nel Movimento, interpreta come il tentativo di sondare il terreno, di contarsi, in vista di una possibile scissione. Per ora, a evitare il peggio, ci ha pensato Grillo confermando la candidatura di Sansa. E ridando speranza ai fautori dell’accordo con i dem anche in altre Regioni. Nelle Marche i 5 Stelle hanno già il loro candidato (Gian Mario Mercorelli), ma sono in subbuglio. Il Movimento in Regione si è spaccato, con la fuoriuscita dal gruppo consiliare di quanti sostengono l’intesa con i dem: Gianni Maggi con la collega Romina Pergolesi ed esponenti di Articolo 1 hanno promosso una lista a supporto del candidato del centrosinistra, Maurizio Mangialardi. Nella Puglia la partita è più difficile. Il capo politico Vito Crimi ha blindato la candidata 5 Stelle Antonella Laricchia. Ma il pressing del Pd far un’intesa su Michele Emiliano, continua. Non a caso i vertici del Movimento starebbero valutando di rimettere al voto degli iscritti il tema delle alleanze per evitare ulteriori tensioni e spaccature nei territori. Ma, nel dualismo ormai plastico tra i dimaiani e il resto del vertice M5S, i due opposti schieramenti in campo potrebbero presto trovarsi a fare i conti con un terzo incomodo. Un gruppo di senatori e deputati, stanchi delle fibrillazioni interne ai Cinque Stelle che rischiano di ripercuotersi sulla stabilità dell’Esecutivo. Un’area raccolta intorno al documento stilato tra gli altri, ormai diversi mesi fa, da Primo Di Nicola, Emanuele Dessì e Mattia Crucioli, per chiedere con forza una riorganizzazione radicale del Movimento – mettendo persino in discussione il ruolo di Rousseau e di Davide Casaleggio – e che non ha più intenzione di tollerare diatribe interne che sembrano anteporre l’interesse personale a quello del Paese. In nome del quale, lo scorso settembre, si è scelto di appoggiare il progetto del governo giallorosso, con un impegno che intendono onorare. Per questo si starebbe valutando di predisporre un nuovo documento. Una sorta di avviso ai naviganti: in caso di scissione, non seguirebbero “alcun pifferaio magico”. Né Di Maio né i cosiddetti governisti né tantomeno altre ipotesi velleitarie (leggasi Di Battista). Un atto, al tempo stesso, di ribellione contro ciò che sta accadendo tra i 5 Stelle – definito senza mezzi termini uno “spettacolo inverecondo” – e di fedeltà all’impegno preso nel settembre dello scorso anno “per salvare l’Italia dai nuovi barbari”. Garantendo la prosecuzione dell’esperienza del Conte bis almeno fino alle elezioni del presidente della Repubblica per non consegnare il Quirinale a Salvini & C.
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