Sono venti gli Stati che hanno firmato la lettera sulla violazione dello stato di diritto da parte dell’Ungheria per il divieto del Pride. Si chiamano fuori la Polonia (neutrale in quanto presidenza di turno dell’Ue), Bulgaria, Croazia, Romania, Slovacchia. E Italia.
I paesi firmatari si dicono “profondamente preoccupati” per la messa al bando del Pride in Ungheria e chiedono a Budapest di “rivedere tali misure per garantire il rispetto e la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutti i cittadini, in conformità con i propri obblighi internazionali”.
I venti Paesi Ue scrivono alla Commissione: prendere misure contro l’Ungheria
Nella dichiarazione si invita poi la Commissione a “usare tempestivamente e pienamente gli strumenti a sua disposizione in materia di Stato di diritto nel caso in cui tali misure non vengano riviste di conseguenza”. La dichiarazione è stata promossa dai Paesi Bassi ed è ancora aperta alle sottoscrizioni di altri Stati membri.
Il mese scorso l’Ungheria ha modificato la Costituzione stabilendo il primato del diritto dei bambini a un “corretto sviluppo fisico, intellettuale e morale” sugli altri diritti fondamentali, eccetto il diritto alla vita. Un escamotage con cui si giustifica la restrizione della libertà di riunione pacifica, mettendo al bando di fatto le marce del Pride che l’Ungheria considera lesive dello sviluppo dei minori.
Per tracciare e multare i partecipanti, Budapest ha acconsentito all’uso del riconoscimento facciale, pratica vietata, con alcuni stringenti eccezioni, dal diritto europeo.
Roma si chiama fuori assieme ad altri 5 Paesi
“Grave e incomprensibile è invece l’assenza dell’Italia tra i firmatari: difendere diritti e libertà non è un optional, è il cuore del progetto europeo. Un Paese fondatore come l’Italia dovrebbe stare in prima fila, non tra quelli che voltano le spalle alla difesa dei diritti e delle libertà”, dichiara Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe e segretario generale del Partito democratico europeo.