Primo ok alla procedura d’infrazione ma M5S E Lega non cedono. Intesa su sicurezza e redditi. No alla Manovra correttiva

Che la stretta di mano tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini non sia stata solo una prova da set cinematografico ma abbia sancito un patto di ferro per proseguire nel governo del paese lo testimonia il via libera al decreto sicurezza bis e il contemporaneo ritiro da parte della Lega degli emendamenti presentati al ddl sul salario minimo, all’esame della commissione Lavoro del Senato. La nota di Palazzo Chigi, al termine del vertice di lunedì, recitava chiaramente: “Si è concordato di portare in consiglio dei ministri il decreto sicurezza bis e di accelerare sulla proposta legislativa sul salario minimo”.

DETTAGLI DA LIMARE. Anche se Di Maio non molla: pur benedicendo l’ok al sicurezza bis si augura che in sede di riconversione del decreto si faccia di più sui rimpatri. Del resto anche Salvini dice: ok a salario minimo purché non penalizzi imprese. Giovedì si riunirà l’Eurogruppo e venerdì l’Ecofin. Due appuntamenti cruciali per verificare la tenuta del ritrovato asse Di Maio-Salvini nella prova di forza che i due leader intendono ingaggiare con l’Europa per riuscire a strappare il via libera a uno shock fiscale che preveda abbassamento delle tasse e aumento dello stipendio degli italiani.

Come una doccia fredda arriva la notizia che il Comitato economico e finanziario della Ue ha adottato il rapporto sull’Italia confermando il parere della Commissione secondo cui la procedura d’infrazione per debito eccessivo è “giustificata”. L’Ecofin potrebbe avviare la procedura nella riunione del 9 luglio. Salvo un intervento da parte italiana. La palla passa al ministro dell’Economia Giovanni Tria che tra domani e dopodomani avrà occasione per spiegare ai colleghi come muoversi. “L’atteggiamento del Governo italiano sarà costruttivo, ribadiremo le nostre ragioni e cercheremo un ragionevole punto di incontro”, ha assicurato il numero uno di via XX Settembre.

E qui si verificherà la compattezza del governo gialloverde. Il rinnovato patto di governo tra i leader di M5S e Lega è stato siglato in nome di un “no” netto a una manovra correttiva e in base ad alcune priorità come l’abbassamento delle tasse e l’aumento dei salari dei lavoratori. Ovvero i due temi identitari di Salvini e Di Maio. I due vicepremier in nome di queste battaglie non sono disposti in Europa ad abbassare la testa. Una presa di posizione che, però, si scontra con l’invito alla ragionevolezza e al bagno di realtà rivolti dal presidente del Consiglio, e da Tria, che invece vorrebbero evitare lo scontro frontale con la Commissione e sarebbero più propensi a offrire a Bruxelles una riduzione del deficit, magari utilizzando i risparmi provenienti da reddito di cittadinanza e quota 100. Ipotesi quest’ultima che irrita i due vicepremier.

PARTITA APERTA. A domanda diretta sull’utilizzo di questo tesoretto Salvini dribbla: “Ribadisco che la flat tax per imprese lavoratori e famiglie deve far parte della prossima manovra”. Mentre Conte spiega che non si è ancora entrati nei dettagli della manovra e che si comincerà a farlo da oggi con una riunione. Alla domanda se abbia il premier un mandato pieno a trattare in Europa, che secondo le narrazioni i due vicepremier gli avrebbero negato, Giuseppe Conte, che prima aveva negato di essere stato messo in un angolo, risponde piccato: “Se un presidente del Consiglio non ha la delega per sedersi ai tavoli europei vuol dire che è sfiduciato. Questa è grammatica costituzionale. Il giorno in cui non dovessi sentire di avere pieno mandato ne trarrei le conseguenze”.

Poi c’è la partita dei commissari Ue. Il governo vorrebbe un italiano in un settore economico. Giancarlo Giorgetti? “Quel che mi chiedono faccio”, risponde il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Si può evitare la procedura d’infrazione? “Siamo fiduciosi”, dice Salvini che conferma di non concepire come possibile un altro governo all’infuori di questo. “Nessuno la vuole”, spiega Conte. Il punto da chiarire ora è il “come” evitarla. Una risposta cui il governo è atteso a Roma prima che a Bruxelles.