Primo via libera al decreto Sicurezza bis, ma confiscare le navi costa. Si prevede una valanga di ricorsi delle Ong. E il Viminale teme l’impennata delle spese legali

Primo via libera alla Camera alla conversione in legge del Decreto Sicurezza bis. Con 325 voti a favore, 248 contrari e 4 astensioni è stata approvata la fiducia posta dal governo Conte sul provvedimento e il voto finale dell’assemblea è previsto per oggi o al massimo domani. Il Sicurezza bis che sta tanto a cuore al ministro dell’interno, Matteo Salvini, passerà poi all’esame del Senato per la seconda e, salvo colpi di scena, definitiva lettura. Il tempo del resto stringe, visto che il decreto, per non decadere, deve essere convertito in legge entro il 13 agosto.

LA SCOPERTA. Il provvedimento che il Viminale ha voluto per rafforzare soprattutto la sua battaglia contro le navi delle Ong, che divide l’opinione pubblica, sembra però destinato anche a creare alta burocrazia e ad esporre lo Stato ad ulteriori spese. A partire dalla prevista confisca delle navi che, come è accaduto con la Sea Watch 3, entrino in porto nonostante i divieti, con a bordo i naufraghi salvati nel Mediterraneo. Particolari emersi in Commissione bilancio, alla Camera, nel corso del dibattito sul decreto.

Rispondendo alle richieste del Servizio bilancio di Montecitorio, l’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del Ministero dell’interno ha infatti iniziato a far luce sulla quantificazione degli oneri connessi alle spese di custodia delle imbarcazioni che potranno essere sottoposte a sequestro e confisca da parte dei prefetti. Costi su cui lo stesso Viminale ha precisato di non avere ancora le idee molto chiare e che, “in assenza di elementi acquisiti in precedenza” dallo stesso Ministero dell’interno, “ai fini della quantificazione delle spese ci si è attenuti ad un valore indicativo, desunto dai tariffari utilizzati dalle Procure della Repubblica allorquando si procede alla liquidazione dei corrispondenti oneri derivanti da sequestro penale”.

L’ALTRA BUROCRAZIA. E’ emerso così che, una volta sequestrata una nave, occorreranno circa quattro anni prima di poter passare all’eventuale confisca definitiva. Previsione che appare anche ottimistica. Le vittime del sequestro possono infatti, come è normale per qualsiasi provvedimento del genere, fare ricorso e prima che si definisca il contenzioso il bene dovrà essere ben custodito e mantenuto efficiente. In caso contrario, se i giudici dovessero poi disporre la restituzione della nave ai proprietari e se la stessa dovesse aver subito danni, lo Stato si troverebbe costretto anche a pagare pesanti risarcimenti.

Dovranno così essere nominati dei custodi delle navi e la spesa prevista per loro è di quasi 6.500 euro per ogni mezzo sequestrato. “A detti oneri – precisano poi sempre dal Viminale – debbono aggiungersi quelli, spesso rilevanti, tenendo conto che si tratta di navi vere e proprie, necessari ad assicurare l’efficienza del mezzo sequestrato”. Magari sperando alla fine di rottamere i natanti e vendere i pezzi. Tante spese, altra burocrazia, con il rischio di vedere il sequestro bocciato dai giudici.