Programmi a confronto, la crisi in Medioriente vista dai partiti italiani

Analisi delle proposte dei partiti italiani sul conflitto in Medioriente in vista del voto europeo. Idee diverse per arrivare alla pace.

Programmi a confronto, la crisi in Medioriente vista dai partiti italiani

Dopo settant’anni di conflitto, la questione israelo-palestinese è ancora un nodo irrisolto sulla scacchiera internazionale. La spirale di morte e violenza che costantemente alimentano un tossico tifo da stadio impediscono di trovare una soluzione duratura e accettabile per entrambe le parti.

Analisi delle proposte dei partiti italiani sul conflitto in Medioriente in vista del voto europeo. Idee diverse per arrivare alla pace

La recente invasione di Gaza da parte dell’esercito israeliano in risposta all’eccidio di Hamas dello scorso 7 ottobre e il mostruoso numero di morti civili in nome della lotta al terrorismo rimbalzano inevitabilmente anche sulla campagna elettorale per le elezioni europee. I partiti italiani hanno così dovuto delineare le proprie proposte, in vista di un auspicato rinnovato impegno dell’Unione europea per cercare di sbrogliare questa intricata matassa mediorientale. Il quadro che emerge è variegato, specchio fedele delle diverse anime che compongono l’arco parlamentare italiano. Un caleidoscopio di posizioni che riflette la complessità stessa del conflitto israelo-palestinese, dove trovare un punto di equilibrio appare impresa sempre più ardua.

Fratelli d’Italia e Forza Italia

Da una parte, alcuni partiti ribadiscono il tradizionale sostegno all’alleato israeliano, pur auspicando il ritorno a una soluzione negoziale. È il caso di Fratelli d’Italia, impegnata a “perseguire il principio due popoli, due Stati”. Formula ormai logora ma ancora unico approdo percepito come possibile. Sulla stessa lunghezza d’onda Forza Italia, che conferma di stare “al fianco di Israele, presidio democratico, nella ricerca di una giusta pace”.

L’avvertimento di Pd e M5S

Come sottolinea Pagella politica è parzialmente diverso l’approccio del Partito democratico, che pur non disconoscendo le ragioni della sicurezza israeliana, ammonisce: “L’Europa non può accettare che la reazione si trasformi in punizione collettiva del popolo palestinese”. Parole pesanti, figlie di una nuova linea che punta apertissimamente al “riconoscimento europeo di uno Stato palestinese”, visto ormai come tappa obbligata per rimettere in carreggiata il processo di pace.

Un’istanza, quella del riconoscimento, reclamata con forza anche dal Movimento 5 Stelle, che va oltre: “L’occupazione della Palestina è illegale, l’Ue deve combatterla anche mettendo in discussione l’accordo di associazione Ue-Israele del 1995”. Parole nette che difficilmente lasceranno indifferenti le diplomazie dei due campi. I 5 Stelle si spingono persino a ipotizzare contromisure economiche nei confronti di Israele, mentre ribadiscono la tesi della “soluzione dei due popoli, due Stati”.

La richiesta di Avs e la proposta di Santoro

Su una posizione più oltranzista si attesta invece l’Alleanza Verdi-Sinistra, che chiede l’immediata “sospensione dell’accordo di associazione” con Israele, oltre a “sanzioni commisurate” e il blocco delle forniture militari. Una linea decisamente più dura, che sembra non ammettere compromessi nell’immediato: l’urgenza è “un cessate il fuoco e la costruzione delle condizioni per una pace duratura”.

Più articolata la proposta di Pace Terra Dignità, la lista di Michele Santoro che punta sul pacifismo come tema centrale della sua campagna elettorale. Il partito condanna gli orrori di Gaza e conferma il diritto d’Israele a vivere in pace, ma al contempo denuncia gli eccessi della risposta militare e “il massacro in corso di donne e bambini”. La soluzione dei due Stati appare ormai “difficilmente praticabile” e si invoca la convivenza, pur nel rispetto dell’identità dei due popoli, in un’unica Terra, ribadendo il “diritto al ritorno” dei palestinesi. Una strada innovativa ma certamente impervia.

Ma non solo: c’è chi si defila e chi è fuori dal coro

Eppure, in questo frastagliato panorama di proposte, qualcuno preferisce mantenere un profilo più defilato. È il caso della Lega e di Azione, che nei loro programmi non menzionano il conflitto israelo-palestinese, come a riconoscerne l’intrinseca, bruciante complessità. Una posizione di prudente disimpegno in prima battuta, quasi a voler stemperare i toni. Gli Stati Uniti d’Europa, a trazione Italia Viva-Più Europa, immaginano invece una soluzione più “istituzionale”, puntando alla nomina di un “leader politico come inviato speciale Ue” per favorire il negoziato.

Nel turbinio di posizioni, Libertà, la lista di Cateno De Luca, esce platealmente dal coro delle proposte di parte e si rifugia in un appello semplicistico: “Un accordo di pace per fermare la strage di vite umane”. Un caleidoscopio di soluzioni e distinguo, che riflette la complessità – negata da alcuni commentatori – di una crisi senza eguali sulla scena mondiale. Un conflitto che non è iniziato oggi ma che per oltre settant’anni ha continuato a mietere vittime, tra feroci spirali di odio e vendetta, logorando lentamente la speranza di una risoluzione pacifica.
Intanto il NY Times scrive che Israele ha organizzato e pagato lo scorso anno una campagna di influenza con messaggi pro-Israele indirizzati a legislatori e il pubblico americani per promuovere il sostegno alla guerra a Gaza. Il governo di Netanyahu attraverso il ministero israeliano per gli Affari della Diaspora avrebbe stanziato 2 milioni di dollari. La campagna, iniziata a ottobre, sarebbe ancora attiva su X e, nel tempo, avrebbe utilizzato, per veicolare messaggi pro-Israele, account fake su X, Facebook e Instagram. Le parole contano in guerra e la propaganda ancora di più.